Autore: Avv. Alessandro Amato
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 2683 del 4/02/2025 ha fatto chiarezza su un punto fondamentale in materia di fideiussione: la clausola di rinuncia preventiva alla decadenza del creditore dall'obbligazione fideiussoria, ai sensi dell'art. 1957 c.c., non è da considerarsi vessatoria e, quindi, non richiede la specifica approvazione per iscritto prevista dall'art. 1341, comma 2, c.c.
Questo principio è valido a patto che la rinuncia sia espressamente e distintamente richiamata nell'atto fideiussorio.
La Art. 1957 c.c.: funzione della decadenza e possibilità di deroga contrattuale
L'articolo 1957 c.c. costituisce un pilastro fondamentale nella tutela del fideiussore, ponendosi contro un'esposizione illimitata del garante.
Questa norma impone al creditore un onere stringente: agire tempestivamente nei confronti del debitore principale.
Il termine è duplice e alternativo: sei mesi dalla scadenza dell'obbligazione garantita o, qualora il fideiussore venga escusso, due mesi dalla notifica al fideiussore stesso.
Il mancato rispetto di questi termini da parte del creditore non è un dettaglio secondario; al contrario, comporta una conseguenza drastica: la decadenza dal suo diritto di pretendere l'adempimento dal garante.
La ratio di questa disposizione è chiara e risiede nella necessità di bilanciare gli interessi in gioco. Da un lato, si tutela il creditore, garantendogli un mezzo per ottenere l'adempimento. Dall'altro, e qui risiede la peculiarità dell'articolo 1957 c.c., si salvaguarda il fideiussore da una situazione di limbo giuridico.
Qualora non fosse previsto tale termine, il garante si troverebbe teoricamente vincolato a tempo indeterminato ad un'obbligazione altrui.
Tale indeterminatezza prolungata esporrebbe il fideiussore al concreto rischio del peggioramento della propria posizione determinato dall'inerzia o dalla negligenza del creditore.
Infatti, l'attendismo del creditore potrebbe condurre al peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore principale, rendendo più onerosa, se non addirittura impossibile, l'eventuale azione di regresso del fideiussore in seguito al pagamento del debito.
L'art. 1957 c.c. serve dunque da incentivo per il creditore affinché si attivi e, contemporaneamente, da scudo per il fideiussore.
Tuttavia, rappresenta prassi ormai frequente l'inserimento di clausole che derogano espressamente a questa previsione legale.
Ciò significa che il fideiussore, al momento della sottoscrizione della garanzia, accetta preventivamente di rinunciare al beneficio del menzionato termine di decadenza.
In sostanza, il garante si assume il rischio che il creditore possa agire anche oltre i limiti temporali stabiliti dall'art. 1957 c.c., mantenendo intatto il suo diritto di escussione nei confronti del fideiussore stesso.
Il caso concreto: la Cassazione conferma la validità della clausola di rinuncia
La pronuncia in esame trae origine da un contenzioso in cui una Banca aveva ottenuto un decreto ingiuntivo contro i garanti di un'apertura di credito. I fideiussori avevano opposto il decreto, sollevando, tra le varie doglianze, la non corretta sottoscrizione della clausola derogatoria dell'art. 1957 c.c., ritenendola vessatoria e quindi richiedente la doppia firma ai sensi dell'art. 1341, comma 2, c.c.
Il Tribunale di Cosenza aveva revocato il decreto ingiuntivo, ma aveva comunque condannato i fideiussori al pagamento di una somma inferiore, riconoscendo la validità della fideiussione.
La Corte di merito, nel confermare la decisione, aveva espressamente statuito che la decadenza prevista dall'art. 1957 c.c. può essere oggetto di rinuncia preventiva da parte del fideiussore. Ha precisato che tale pattuizione è nella disponibilità delle parti, non contravviene a principi di ordine pubblico e comporta semplicemente per il fideiussore l'assunzione di un maggior rischio legato a possibili mutamenti delle condizioni patrimoniali del debitore principale. La Corte territoriale aveva inoltre ribadito che tale clausola non rientra tra quelle considerate particolarmente onerose dall'art. 1341, comma 2, c.c., pur rilevando che nel caso specifico la clausola fosse stata comunque richiamata espressamente e distintamente in calce all’atto fideiussorio.
I garanti hanno proposto ricorso in Cassazione, lamentando, tra l'altro, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1341, 1957 e 1469 bis c.c. proprio in relazione alla validità della sottoscrizione della clausola derogatoria. Gli Ermellini hanno dichiarato la censura inammissibile.
La Suprema Corte ha confermato che la clausola di rinuncia preventiva alla decadenza prevista dall'art. 1957 c.c. non è da considerarsi vessatoria. Di conseguenza, essa non necessita della specifica approvazione per iscritto richiesta dall'art. 1341, comma 2, c.c. La validità è assicurata dalla generica sottoscrizione del contratto, a patto che la rinuncia sia chiaramente e distintamente menzionata nell'atto fideiussorio.
Implicazioni pratiche per banche, garanti e operatori del diritto
L’ordinanza della Cassazione ha concrete implicazioni per tutti gli attori del panorama delle garanzie personali.
Per le banche, le finanziarie e in generale tutti i soggetti che, nell'esercizio della loro attività, si avvalgono di contratti di fideiussione standardizzati o moduli precompilati, questa pronuncia apporta maggiore certezza giuridica e semplifica la gestione contrattuale.
L'aspetto più rilevante è che la clausola di rinuncia preventiva alla decadenza ex art. 1957 c.c. non necessita di una "doppia firma" specifica, ovvero di quella sottoscrizione separata e aggiuntiva richiesta dall'art. 1341, comma 2, c.c. per le clausole vessatorie.
Però, ciò non significa che sia lecito non osservare i principi di chiarezza e trasparenza.
Al contrario, la Corte di Cassazione ha precisato che è fondamentale che la clausola sia redatta con chiarezza e trasparenza e che sia richiamata distintamente nel documento.
Tale requisito ha lo scopo di fare in modo che il fideiussore sia del tutto consapevole dell'onere che assume, evitando che una rinuncia così importante possa passare inosservata all’interno del complessivo testo contrattuale.
Pertanto, sia la chiarezza espositiva che una collocazione evidente della clausola all'interno del contratto diventano elementi essenziali per la sua piena validità ed efficacia.
D'altro canto, per i fideiussori, questa decisione enfatizza ancora di più l'importanza di un approccio consapevole e attento alla sottoscrizione di un contratto di garanzia.
La pronuncia della Suprema Corte sottolinea la necessità di esaminare accuratamente tutte le clausole del contratto di fideiussione, prestando particolare attenzione a quelle disposizioni che possono limitare i diritti o le tutele che, in assenza di pattuizioni specifiche, sarebbero previste dal Codice Civile.
Benché la clausola di deroga all'art. 1957 c.c. non sia stata qualificata come vessatoria, e quindi non richieda una tutela "rafforzata" tramite la doppia firma, la sua chiara accettazione comporta per il fideiussore l'assunzione di un rischio significativamente maggiore.
Rinunciando al termine di decadenza, il garante accetta di rimanere esposto all'azione del creditore per un periodo più lungo, potenzialmente indefinito, perdendo quella protezione temporale che altrimenti gli consentirebbe di liberarsi dall'obbligazione in caso di inerzia del creditore.
È una scelta che impatta direttamente sulla sua esposizione patrimoniale e sulla sua tranquillità finanziaria.
In pratica, questa pronuncia rafforza il principio della libera disponibilità negoziale delle parti nel modellare il contenuto dei contratti di fideiussione.
Essa riconosce che le parti hanno la facoltà di derogare a norme dispositive come l'art. 1957 c.c., in virtù della loro autonomia contrattuale.
Tuttavia, questa libertà negoziale non può prescindere da un elemento fondamentale: la trasparenza e la chiarezza delle pattuizioni.
Non si tratta di proteggere il fideiussore da clausole "abusive" attraverso un formalismo eccessivo, ma di assicurare che ogni rinuncia o assunzione di rischio sia frutto di una scelta consapevole e non di una svista dovuta a formulazioni ambigue o occulte. In fondo, ciò che conta davvero è che il fideiussore abbia compreso e accettato chiaramente quanto previsto.