Al pari di ogni altra attività processuale, anche le notifiche eseguite a mezzo PEC debbono sottostare al rispetto dei termini perentori imposti dall’ordinamento a carico delle parti.
Il mancato perfezionamento della notifica telematica comporta, infatti, il rischio che gli effetti giuridici auspicati dal notificante non si producano e, segnatamente, l’insorgere delle decadenze previste per l’inosservanza del termine prescritto.
Per tale evenienza, l’art. 153 cpc. concede alla parte in difetto la facoltà di richiedere al giudice d’essere rimessa in termini, posto che dimostri d’essere incorsa in decadenza per causa ad essa non imputabile.
Applicando il suddetto istituto in materia di notifiche telematiche, la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 287 del 9 gennaio 2019, ha chiarito che l'assegnazione di un ulteriore termine per la notificazione, in deroga al principio generale di improrogabilità dei termini perentori sancito dall’art. 153 cpc., è possibile solo a condizione che l'esito negativo del procedimento notificatorio sia dipeso da un fatto oggettivo ed incolpevole, del quale la parte deve offrire puntuale e rigorosa dimostrazione.
Pertanto, in mancanza di errore incolpevole e giustificabile, non può essere invocata la rimessione in termini, con conseguente fissazione di un nuovo termine per la rinnovazione della notificazione, rispetto a quello perentorio inutilmente scaduto.
Nella fattispecie dedotta all’attenzione degli ermellini, la notifica in questione era stata ritenuta nulla, poiché effettuata ad indirizzo diverso da quello risultante dal ReGIndE.
La Corte ha, nondimeno, escluso che l’esito negativo del procedimento notificatorio sia dipeso da un errore oggettivo, incolpevole e giustificabile, sol per il fatto che, in altri processi, il medesimo convenuto fosse stato utilmente raggiunto dalla notifica eseguita allo stesso indirizzo PEC.