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La prorogatio dei sindaci in seguito alle dimissioni

La prorogatio dei sindaci in seguito alle dimissioni
Autore: Avv. Alessandro Amato

È molto dibattuto, soprattutto nella giurisprudenza di merito, il tema della prorogatio dei sindaci societari in seguito alle loro dimissioni.

La questione giuridica è quella relativa al periodo in cui uno o più membri di un collegio sindacale possano essere ancora considerati in carica; soprattutto qualora dovesse verificarsi un evento dannoso causa di responsabilità per l'organo di controllo.

In particolare, si discute della modalità di sostituzione dei sindaci e se possa applicarsi l'istituto della prorogatio.

Anche in seguito alla riforma delle società del 2003, la giurisprudenza è rimasta senza una soluzione univoca: secondo alcuni Tribunali la prorogatio non è infatti applicabile in caso di dimissioni dei sindaci, mentre la Suprema Corte ha invece precisato che varrebbe l'istituto (cfr. Cassazione Civile, 15/11/2019, n. 29719; Cassazione Civile, 12/04/2017, n. 9416).

Recentemente, il Tribunale di Napoli ha avuto modo di pronunciarsi sul tema con la sentenza n. 11488/2022, depositata il 27/12/2022, ed ha sostenuto la tesi della non applicazione della prorogatio.

Nella fattispecie si trattava di un’azione di responsabilità esperita da un Curatore Fallimentare contro i componenti dimissionari di un Collegio Sindacale ed un amministratore. Veniva richiesto l’accertamento che le condotte dei convenuti avevano violato gli obblighi di diligenza correlati al loro ruolo e quelli previsti dallo statuto e conseguentemente richiesta la loro condanna al risarcimento dei danni patiti dalla società.

Il Tribunale di Napoli ha specificato che in tale ipotesi “è applicabile l’art. 2400 c.c. il quale stabilisce, tra l’altro, che la “cessazione dei sindaci per scadenza del termine ha effetto dal momento in cui il collegio è stato sostituito; (ii) la nomina e la cessazione dei sindaci devono essere iscritte a cura degli amministratori….

Pertanto risulta chiaro che il comparente (il sindaco, n.d.r.) può opporre ai creditori sociali le sue dimissioni, allorquando compete al solo organo di gestione (e non ai sindaci) di richiedere l’iscrizione della cessazione dall’ufficio.

Viceversa, i sindaci avrebbero potuto subire un pregiudizio solo se fossero stati loro stessi obbligati a richiedere l’iscrizione della loro cessazione dall’ufficio: essendo, però, l’adempimento posto a carico degli amministratori, come detto, l’ordinamento giuridico non ammette l’aberrazione di far subire pregiudizi ad alcuno per colpe non proprie”
.

È significativo il contenuto dell’ultimo periodo utilizzato: nel nostro ordinamento non è consentito che un soggetto subisca i pregiudizi per una colpa altrui.

Al riguardo la più recente giurisprudenza di merito, successiva alla riforma del diritto societario, ha in più occasioni affermato che “le dimissioni dalla carica di sindaco di società per azioni producono effetto sin dal momento in cui la società ne sia venuta a conoscenza, quantunque ne sia stata omessa l’iscrizione nel registro delle imprese, non essendo applicabile al collegio sindacale il regime della prorogatio operante per gli amministratori” (cfr. sempre Trib. Napoli, 15/10/2009).

Tali conclusioni si basano sulle disposizioni codicistiche, in quanto la disciplina del novellato art. 2401 c.c. per il caso di “morte, di rinunzia o di decadenza di un sindaco” non richiama (come nel testo in vigore in precedenza) l’istituto della prorogatio, limitandosi a prevedere, nell’ultimo comma, che “se, con i sindaci supplenti, non si completa il collegio sindacale, deve essere convocata l’assemblea, perché provveda all’integrazione del collegio medesimo”.

Si differenzia così dalla disciplina contenuta nel novellato art. 2400 c.c., ove si prevede, invece, esplicitamente la prorogatio dell’incarico dei sindaci per il diverso caso di cessazione degli stessi “per scadenza del termine”.

Inoltre, le esigenze di continuità dell’organo amministrativo (per il quale l’art. 2385 c.c. espressamente prevede la prorogatio) e dell’organo di controllo sono evidentemente differenti.

Sarebbe quindi auspicabile un reviriment della Corte di Cassazione che tenga conto delle sentenze di merito che propongono una nuova soluzione della questione.
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