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Privilegio del credito del professionista e computo del biennio ai sensi dell’art. 2751 bis, n. 2, c.c.

Privilegio del credito del professionista e computo del biennio ai sensi dell’art. 2751 bis, n. 2, c.c.
Autore: Avv. Matteo Conte

La Massima

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 6884 del 2.03.2022, ha previsto che, “ai fini del riconoscimento del privilegio ex art. 2751 bis, n. 2, c.c., la prestazione giudiziale dell'Avvocato che sia espletata in più gradi di giudizio viene ad essere suddivisa in autonomi incarichi corrispondenti ai singoli gradi di esso (posto l'innegabile collegamento funzionale esistente, all'interno del grado, tra tutte le prestazioni ivi eseguite dal legale), con la conseguenza che il privilegio stesso può essere riconosciuto solo al credito riguardante i compensi relativi alle prestazioni per gli incarichi specifici (nella specie, dunque, del singolo grado di appello) conclusisi nell'ultimo biennio del rapporto professionale complessivo”.

Il Caso

Nel caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte, un Avvocato aveva assistito una società cooperativa in due gradi di giudizio, nel corso dei quali si erano altresì svolti tre subprocedimenti cautelari, prima della dichiarazione di fallimento della società stessa.

Il professionista presentava dunque domanda di ammissione al passivo per il proprio credito professionale, invocando il riconoscimento del privilegio ex art. 2751-bis, n. 2, c.c., secondo cui hanno privilegio generale sui mobili “i crediti riguardanti le retribuzioni dei professionisti (…) dovute per gli ultimi due anni di prestazione”.

Nell’ambito del procedimento di opposizione allo stato passivo promosso dall’Avvocato, il Tribunale di Agrigento riconosceva il privilegio ai soli compensi maturati per il grado d’appello, confermando la decisione operata dal Giudice Delegato, che aveva ritenuto di ammettere in via chirografaria quella parte di compensi relativi all’attività “prestata nel giudizio di primo grado e nei relativi procedimenti cautelari”, poiché terminata in data anteriore al biennio di cui all’art. 2751 bis, n. 2, c.c.

La ricostruzione del Tribunale

Secondo il Tribunale di Agrigento, la prestazione giudiziale dell'Avvocato doveva essere suddivisa in autonomi incarichi corrispondenti ai singoli gradi di giudizio, con la conseguenza che l’attività resa nell’ambito del primo grado doveva ritenersi esclusa dal “biennio privilegiato”, e tanto perché, all’esito di ciascuna fase, l’Avvocato avrebbe potuto richiedere il pagamento del credito maturato.

In altre parole - citando il Tribunale di Agrigento - ai fini dell'applicazione dell'art. 2751-bis c.c., n. 2, "non è il complessivo rapporto professionale che deve essere preso in considerazione, ma distintamente ogni singola prestazione professionale al compimento della quale può essere compiutamente quantificato il compenso anche alla luce del risultato raggiunto, come avviene, ad esempio, al termine di ogni grado di giudizio".

Il difensore presentava dunque ricorso per Cassazione, invocando la violazione dell’art. art. 2751, comma 1, n. 2, c.c. in relazione al c.d. principio di “unitarietà ed inscindibilità dell'incarico professionale e del processo”, in forza del quale, ai fini del riconoscimento del privilegio, occorre procedere ad una valutazione unitaria dell'attività prestata al momento della domanda, “comprendendovi anche le prestazioni svolte oltre il biennio purché risultino tra loro collegate in quanto espressione dello stesso incarico”.

La decisione della Corte

La Corte di Cassazione, rigettando il ricorso proposto dall’Avvocato, ha affrontato la questione analizzando preliminarmente due questioni interpretative, centrali per una corretta applicazione dell’art. 2751 bis, n. 2, c.c. e in particolare:
  1. quale sia il dies a quo per il computo a ritroso del “biennio privilegiato” (e, in particolare, il dies a quo nell'ipotesi di pluralità di incarichi distinti, conferiti allo stesso professionista dal medesimo cliente);
  2. quali siano le retribuzioni da considerarsi dovute in riferimento all'arco temporale come precedentemente individuato.
Con riferimento al primo quesito, l'alternativa che originariamente si era posta in giurisprudenza era quella fra una soluzione "restrittiva" - per cui il termine doveva decorrere dalla data di inizio della procedura esecutiva in cui il credito veniva fatto valere (dunque, nel caso di esecuzione concorsuale, dalla dichiarazione di fallimento) - ed una di maggior favore per il professionista, oggi prevalente, in base alla quale il calcolo va effettuato dal momento della cessazione della prestazione professionale, indipendentemente dall’intervallo di tempo che la separa dalla dichiarazione di fallimento.

La Corte ha dunque preliminarmente ritenuto di aderire a tale secondo orientamento, ribadendo come il dies a quo sia rappresentato non dalla data della dichiarazione di fallimento del debitore, bensì dal momento in cui l'incarico professionale è stato portato a termine o è comunque cessato, allorché il credito dell’Avvocato è divenuto liquido ed esigibile.

La Cassazione ha poi affrontato il tema dell'operatività del privilegio in esame per l'eventualità di plurimi incarichi conferiti da parte del medesimo cliente, osservando come il limite temporale degli "ultimi due anni di prestazione" debba essere riferito al complessivo rapporto professionale, restando fuori dal privilegio i corrispettivi degli “incarichi conclusi” in data anteriore al biennio precedente la cessazione del complessivo rapporto.

Con riferimento alla definizione di “incarichi conclusi”, la Corte si è interrogata sul caso dell'attività giudiziale svolta da un Avvocato che si sia protratta per più gradi di giudizio. La questione giuridica affrontata è dunque la seguente: ove un legale abbia patrocinato un cliente, successivamente dichiarato fallito, in più gradi di un unico giudizio, che abbiano avuto inizio e (magari anche) fine nell'arco di molti anni, si è di fronte ad un incarico unico oppure a distinti incarichi relativi a ciascun grado? È evidente che la risposta, in un senso o nell'altro, influisce inevitabilmente anche sull’individuazione del concreto ambito applicativo del privilegio rispetto al credito del legale insinuato nel fallimento.

A sostegno della tesi dell’“unitarietà dell’incarico”, invocata dal professionista, vi era sostanzialmente l’argomento fondato sul principio di “esigibilità del credito” dell’Avvocato, secondo cui il compenso deve essere correlato alla complessiva valutazione della sua attività e il momento per la determinazione dell'onorario deve identificarsi con quello in cui l'attività stessa è conclusa. Dunque, tenuto conto del fatto che l'art. 2234 c.c. riconosce al medesimo professionista, prima di quel momento, il diritto a percepire solo degli acconti, fino alla conclusione dell'attività il credito non è liquido, né esigibile, né la retribuzione “dovuta”. In altri termini, a prescindere da quando è stata compiuta la prestazione, il compenso sarebbe privilegiato se divenuto “dovuto” nel biennio anteriore alla cessazione dell'attività.

Ad avviso della Corte, se è vero che un problema di riconoscimento (e di limiti al riconoscimento) del privilegio si può porre, concretamente, solo se e in quanto il credito sia divenuto liquido ed esigibile, ciò non significa che le condizioni per l'acquisizione dei caratteri di liquidità e di esigibilità possano essere automaticamente recepite ed applicate quali criteri per la individuazione dell'estensione del privilegio che la legge vuole limitata in funzione della distanza temporale dal momento conclusivo della “prestazione”.

Pertanto, l’invocato principio della quantificazione dell'onorario solo al termine della controversia non sottrae il relativo credito alla regola di cui all'art. 2751-bis c.c., n. 2, nel senso che il riconoscimento del privilegio dipende dalla prestazione dell'opera e non dalla liquidità e/o esigibilità del credito, rilevanti, invece, al diverso fine della individuazione del decorso del termine prescrizionale.

La norma, invero, individua e delimita il credito cui spetta il privilegio mediante il riferimento al contenuto del rapporto (la prestazione, appunto), che viene assunto, così, a elemento determinante della fattispecie genetica del privilegio, mentre nella norma stessa manca qualsivoglia riferimento testuale che induca a riconoscere analoga rilevanza al fatto e al momento della determinazione quantitativa del credito o della conseguita esigibilità dello stesso.

In conclusione, la Corte ha dunque richiamato, aderendovi, quella giurisprudenza secondo cui, ai fini del riconoscimento del privilegio, debba essere preso in considerazione non già il complessivo rapporto professionale, bensì distintamente "ogni singola prestazione professionale al compimento della quale può essere compiutamente quantificato il compenso, anche alla luce del risultato raggiunto, come avviene, ad esempio, al termine di ogni grado di giudizio", dovendosi appunto avere riguardo all'attività professionale "prestata nello specifico segmento procedurale autonomamente valutabile e pertanto generatore di un diritto al corrispettivo che tenga conto dell'opera prestata per una individuabile fase processuale e del risultato raggiunto").

La Cassazione ha infine ricordato il principio risalente secondo cui "...il limite biennale risponde anche all'esigenza di contemperare l'interesse del creditore privilegiato con quello degli altri creditori e, in particolare, all'esigenza di evitare che il creditore privilegiato, forte del suo diritto di prelazione, possa, ritenendosi sufficientemente garantito, continuare a maturare crediti nei confronti del debitore erodendo così, con una prelazione non oggetto di pubblicità, la garanzia patrimoniale generica degli altri creditori".

La Cassazione ha così rigettato il ricorso del professionista, confermando la decisione del Tribunale di Agrigento, che aveva escluso dal privilegio i compensi del professionista per le prestazioni rese nell’ambito del primo grado di giudizio.
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