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Le Sezioni Unite sull’ammissibilità della domanda di ammissione al passivo di crediti erariali fondata su avvisi di accertamento non notificati.

Le Sezioni Unite sull’ammissibilità della domanda di ammissione al passivo di crediti erariali fondata su avvisi di accertamento non notificati.
Autore: Avv. Matteo Conte

La Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con sentenza n. 33408 dell’11.11.2021, accogliendo parzialmente il ricorso proposto da Equitalia Servizi di Riscossione S.p.A., ha previsto che, ai fini dell'ammissibilità della domanda d’insinuazione proposta dall’agente della riscossione e della verifica in sede fallimentare del diritto al concorso del credito tributario o previdenziale, non occorre che gli avvisi di accertamento o di addebito siano notificati, ma è sufficiente la produzione dell’estratto di ruolo.

La pronuncia delle Sezioni Unite si colloca a valle della decisione del Tribunale di Nola, che aveva ritenuto di non ammettere al passivo del fallimento i crediti oggetto di avvisi di addebito e di accertamento non notificati. Secondo la ricostruzione del Tribunale fallimentare, infatti, gli avvisi di addebito e di accertamento, avendo sostituito il ruolo e la cartella di pagamento, rappresenterebbero i nuovi titoli esecutivi spendibili ai fini dell’insinuazione al passivo e, a tal fine, esigerebbero la notificazione.

Avverso il provvedimento del Tribunale di Nola l’agente della riscossione proponeva ricorso per Cassazione, lamentando la violazione e la falsa applicazione degli artt. 87 e ss. D.P.R. 29.09.1973, n. 602, nonché degli artt. 29 e 30 D.L. 31.05.2010, n. 78.

Il giudizio veniva rimesso dinanzi alla prima sezione civile, la quale, ravvisando una questione di massima di particolare importanza, sottoponeva al Primo Presidente l’opportunità che venisse trattata dalle Sezioni Unite.

Il tema posto con il motivo di ricorso ha dunque sostanzialmente investito gli effetti prodotti dagli artt. 29 e 30 D.L. 78/2010 sulla disciplina dell’ammissione al passivo regolata dagli artt. 87 e ss. D.P.R. 29.09.1973, n. 602, secondo cui “se il debitore, a seguito del ricorso di cui al comma 1 o su iniziativa di altri creditori, è dichiarato fallito, ovvero sottoposto a liquidazione coatta amministrativa, il concessionario chiede, sulla base del ruolo, per conto dell’Agenzia delle Entrate l’ammissione al passivo della procedura”. E tanto perché, da un lato, l’art. 29 prevede che “l’agente della riscossione, sulla base del titolo esecutivo di cui alla lettera a) e senza preventiva notifica della cartella di pagamento, procede ad espropriazione forzata con i poteri, le facoltà e le modalità previste dalle disposizione che disciplinano la riscossione a mezzo ruolo”, e, dall’altro, l’art. 30 prescrive che “l’attività di riscossione relativa al recupero delle somme a qualunque titolo dovute all’INPS, anche a seguito di accertamenti degli uffici, è effettuata mediate la notifica di un avviso di addebito con valore di titolo esecutivo”.

In proposito, una parte della giurisprudenza di legittimità aveva infatti ritenuto che, per far valere nel fallimento il credito tributario azionando l'accertamento esecutivo, occorresse rispettare la sequenza prevista dal citato art. 29, che, per l’affidamento di tali importi agli agenti della riscossione, impone di attendere la scadenza dei termini di sessanta e trenta giorni dalla notificazione dell'avviso di accertamento. Analogamente, con riferimento al credito previdenziale maturato in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento, un altro orientamento imponeva che l’agente della riscossione provvedesse a notificare l’avviso di addebito direttamente al Curatore.

Le Sezioni Unite hanno invece evidenziato come gli art. 29 e 30 D.L. 78/2010 si propongano sostanzialmente di semplificare e potenziare l’attività di recupero credito tributario e previdenziale, riguardando unicamente la procedura di riscossione coattiva “individuale”, che, per essere attivata, presuppone naturalmente la sussistenza di un titolo esecutivo notificato.

La domanda di ammissione al passivo del fallimento rappresenta, invece, un istituto differente e autonomamente regolato, rivolto ad assicurare il conseguimento della par condicio creditorum a fronte dell’insolvenza del debitore, e si traduce nell’ottenimento di una quota o di una percentuale di quanto ricavato dalla liquidazione secondo l’ordine determinato dalle cause di prelazione.

L’oggetto dell’accertamento del passivo è dunque il “diritto al concorso”: tale diritto prescinde dall’affidamento di somme all’agente per la riscossione e, più in generale, dalla necessità per il creditore di munirsi di titolo idoneo a consentirgli l’esecuzione forzata. Com’è noto, infatti, ai sensi dell’art. 93 L.F., il creditore ha l’onere di provare l’esistenza dei crediti che vanta allegando unicamente i relativi “documenti dimostrativi”.

In sede concorsuale, dunque, il ruolo non rileva come titolo esecutivo ma serve a individuare, anche ai fini degli accessori, i crediti opponibili alla massa e i relativi privilegi. E altrettanto vale per l’estratto di ruolo, il quale, benché non sia atto impositivo, comunque contiene e, quindi, documenta gli elementi del ruolo.

In conclusione, le Sezioni Unite hanno cassato il provvedimento impugnato, rinviando al Tribunale di Nola in diversa composizione per nuovo esame della questione, alla luce del seguente principio di diritto: "Ai fini dell'ammissibilità della domanda d'insinuazione proposta dall'agente della riscossione e della verifica in sede fallimentare del diritto al concorso del credito tributario o di quello previdenziale, non occorre che l'avviso di accertamento o quello di addebito contemplati dal D.L. 78/2010, artt. 29 e 30, conv. con L. 122/2010, siano notificati, ma è sufficiente la produzione dell'estratto di ruolo".
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