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La Cassazione sull’inopponibilità al fallimento del decreto ingiuntivo non opposto privo della dichiarazione di esecutorietà

La Cassazione sull’inopponibilità al fallimento del decreto ingiuntivo non opposto privo della dichiarazione di esecutorietà

Autore: Avvocato Matteo Conte

La Massima

La Corte di Cassazione, Sez. I, con la sentenza n. 8260 del 27.03.2024, ha ribadito il principio secondo cui “l'opponibilità al fallimento del decreto ingiuntivo non opposto decorre dalla data di emissione del provvedimento di esecutorietà di cui all'art. 647 c.p.c., atteso che con esso il giudice compie un'attività di natura giurisdizionale avente ad oggetto la verifica del contraddittorio e la regolarità della notificazione del decreto ingiuntivo, con conseguente passaggio in cosa giudicata formale e sostanziale del decreto medesimo, restando privi di rilievo disfunzioni dell'ufficio o ritardi nell'emissione del relativo provvedimento”.

Il Caso

Nel caso sottoposto all’attenzione della Cassazione, il creditore si era insinuato al passivo della procedura fallimentare facendo valere il preteso credito, per complessivi euro 465.794,06 al privilegio ipotecario, ed euro 32.185,35 al chirografo, in forza di decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo emesso dal Tribunale di Bari, con provvedimento ex art. 647 c.p.c. emesso successivamente alla pronuncia di fallimento dell’ingiunta.

Sull’opposizione ex art. 99 L.F. presentata dal creditore avverso il decreto di esecutività dello stato passivo che aveva escluso il proprio credito, il Tribunale di Trani, in parziale accoglimento del ricorso, aveva ammesso il credito in via chirografaria, rigettando tuttavia la domanda diretta ad ottenere il privilegio ipotecario. Sul punto, il Collegio, richiamata la costante giurisprudenza di legittimità, ha affermato che “il decreto ingiuntivo, in assenza di opposizione, acquista efficacia di giudicato formale e sostanziale, con conseguente opponibilità al Fallimento, anche ai fini del riconoscimento del privilegio ipotecario iscritto sulla base della provvisoria esecutività concessa ai sensi dell’art. 642 c.p.c., solo con il decreto di esecutorietà ex art. 647 c.p.c. emesso anteriormente all’apertura della procedura concorsuale”.

Il creditore proponeva dunque ricorso per Cassazione denunciando la “violazione e falsa applicazione degli artt. 647 c.p.c., 2908 e 2909 c.c., 52 l. fall., 3 e 24 cost., in relazione all’art. 360 1° comma nr. 3 c.p.c.”, per avere il creditore richiesto al giudice del procedimento monitorio l’emissione del decreto di esecutorietà ex art. 647 c.p.c. prima della dichiarazione di fallimento, ma il relativo provvedimento sarebbe stato rilasciato solo successivamente. Secondo la prospettazione del creditore, gli effetti della declaratoria di esecutorietà sarebbero dovuti retroagire al momento della domanda, presentata quando l’ingiunto era ancora in bonis.

La decisione del Tribunale

È principio consolidato in giurisprudenza quello per cui non e` opponibile alla procedura fallimentare il decreto ingiuntivo privo di dichiarazione di esecutività ex art. 647 c.p.c. intervenuta prima della dichiarazione di fallimento e che tale inopponibilità travolga anche l’eventuale iscrizione ipotecaria effettuata dal creditore in forza del decreto ingiuntivo stesso.

Secondo tale risalente orientamento, infatti, il decreto ingiuntivo non dichiarato esecutivo ai sensi dell’art. 647 c.p.c. non ha efficacia di giudicato e, per tale ragione, rimane inopponibile alla massa.

Nel caso in esame, la Cassazione ha osservato come la domanda del creditore fosse inammissibile ex art. 360-bis c.p.c. essendosi la decisione impugnata conformata alla giurisprudenza della Corte, secondo cui “il decreto ingiuntivo acquista efficacia di giudicato formale e sostanziale solo nel momento in cui il giudice, dopo averne controllato la notificazione, lo dichiari esecutivo ai sensi dell'art. 647 c.p.c. Tale funzione si differenzia dalla verifica affidata al cancelliere dall'art. 124 o dall'art. 153 disp. att. c.p.c., e consiste in una vera e propria attività giurisdizionale di verifica del contraddittorio che si pone come ultimo atto del giudice all'interno del processo d'ingiunzione e cui non può surrogarsi il giudice delegato in sede di accertamento del passivo. Ne consegue che il decreto ingiuntivo non munito, prima della dichiarazione di fallimento, del decreto di esecutorietà non è passato in cosa giudicata formale e sostanziale e non è opponibile al fallimento, neppure nell'ipotesi in cui il decreto ex art. 647 c.p.c. venga emesso successivamente, tenuto conto del fatto che, intervenuto il fallimento, ogni credito deve essere accertato nel concorso dei creditori ai sensi dell'art. 52 l. fall.”.

La Cassazione ha preliminarmente evidenziato come la ricorrente abbia sollecitato una rilettura dell’orientamento consolidato, argomentando in senso contrario quanto meno per le ipotesi in cui l’istanza per ottenere la declaratoria dell’esecutorietà del decreto ex art. 647 c.p.c. venga presentata anteriormente alla pronuncia di fallimento. La ricorrente aveva infatti evidenziato che, ricorrendo tale fattispecie, la rigida interpretazione giurisprudenziale non sarebbe immune da censure di irragionevolezza e disparità di trattamento che si potrebbero verificare nel caso in cui due soggetti richiedano il provvedimento ex art. 647 c.p.c. e l’opponibilità al fallimento dipenda casualmente solo dalle tempistiche di pubblicazione.

Secondo la Corte, il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo non opposto contempla un procedimento contenuto nell’art. 647 c.p.c. che è diretto alla declaratoria di esecutorietà del decreto. Si tratta di un procedimento spedito e privo di formalità (l'istanza può essere anche verbale), che implica il controllo della notificazione del decreto, del decorso del termine e della mancata opposizione o costituzione nei termini.

Il decreto di esecutorietà, quindi, “si distingue dalla mera attestazione di cancelleria, cui non può certamente reputarsi equivalente, sia sotto il profilo dell'organo emanante, sia sotto quello del contenuto del controllo, limitato il primo al fatto storico della mancata opposizione decorso il termine perentorio ed il secondo esteso all'accertamento della regolarità della notificazione (art. 643 c.p.c.). E tale distinzione è sottesa all'ordinanza della Corte costituzionale 28 dicembre 1990, n. 572, che dichiarò inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 647 c.p.c., in riferimento all'art. 97 Cost., nella parte in cui richiede l'adozione di un provvedimento giudiziale che dichiari l'esecutività del decreto ingiuntivo, in luogo che accontentarsi il legislatore dell'attestazione di cancelleria”.

La Cassazione ha inoltre richiamato il noto principio secondo cui “per escludere l'opponibilità al fallimento del decreto ingiuntivo non opposto nel termine di cui all’art 641 c.p.c. ma privo del provvedimento di esecutorietà di cui all'art. 647 c.p.c., ha sottolineato come il giudice nel dichiarare l’esecutorietà del decreto compie una vera e propria attività di natura giurisdizionale avente ad oggetto la verifica del contraddittorio, che nel processo a cognizione ordinaria ha luogo come primo atto del giudice e nel processo d'ingiunzione, ove non sia stata proposta opposizione, ha luogo come ultimo atto del giudice (cfr. Cass. nr 1650/2014)”.

Così ricostruito il sistema, il momento in cui il decreto ingiuntivo passa in “cosa giudicata formale e sostanziale” e diventa opponibile al fallimento non può che coincidere con la data di emissione del decreto di esecutività ex art. 647 c.p.c., con il quale il giudice accerta la regolarità della notificazione del decreto ingiuntivo, rimanendo, quindi, privi di rilievo altri eventi anteriori quali l’attestazione della cancelleria o l’istanza del creditore ingiungente.

Secondo la Corte, le dedotte ragioni di iniquità determinate dalle disfunzioni dell’ufficio e dal ritardo nell’emissione del provvedimento ex art. 647 c.p.c. non possono essere prese in considerazione per individuare un termine per la formazione del giudicato diverso da quello previsto dalla norma e le ipotesi citate nel ricorso, in cui determinati effetti giuridici conseguenti ad un atto o ad una pronuncia giudiziale retroagiscono alla data della domanda o al compimento di altre attività, costituiscono eccezioni espressamente previste dalla legge che non possono estendersi analogicamente ad altri casi.

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