Autore: Avv. Matteo Conte
Il Tribunale di Alessandria, con sentenza depositata lo scorso 21 dicembre, è tornato ad affrontare il tema della natura del credito, privilegiato o chirografario, derivante dall’attività professionale svolta in forma associata ai fini dell’ammissione al passivo del fallimento.
Nel caso in esame, uno Studio di Dottori Commercialisti aveva proposto opposizione avverso il provvedimento di approvazione dello stato passivo, con il quale il Giudice Delegato aveva ammesso il credito derivante dall’attività professionale svolta in forma associata, escludendo tuttavia il privilegio richiesto ex art. 2751bis c.1 n. 2 c.c.
Il credito in questione derivava dall’incarico affidato allo Studio professionale per gli anni 2016, 2017 e 2018, per prestazioni di consulenza e assistenza rientranti nell’ambito di competenza della professione di Dottore Commercialista in materia fiscale e societaria.
Il Giudice Delegato aveva ammesso il credito al chirografo ritenendo non spettante il privilegio in quanto non analogicamente estensibile agli Studi, associazioni e società di professionisti, e difettando la prova che le prestazioni fossero state svolte personalmente da un singolo professionista in via esclusiva o prevalente.
La decisione del Tribunale di Alessandria si colloca nel solco tracciato dalla giurisprudenza maggioritaria della Suprema Corte, nella quale si individuano due orientamenti, non necessariamente posti in contrapposizione, uno di carattere più formale, l’altro più sostanziale.
Più precisamente, secondo il primo orientamento ciò che assume rilievo è che il rapporto si instauri tra il cliente e il singolo professionista membro dell’associazione professionale.
Sul punto, sin dal 2013, la Cassazione ha affermato che il privilegio in questione può essere riconosciuto anche nel caso in cui il creditore sia inserito in un'associazione professionale, costituita con altri professionisti per dividere le spese e gestire congiuntamente i proventi della propria attività, ma “a condizione che il rapporto di prestazione d'opera si instauri tra il singolo professionista ed il cliente, soltanto in tal caso potendosi ritenere che il credito abbia per oggetto prevalente la remunerazione di un'attività lavorativa, ancorché comprensiva delle spese organizzative essenziali al suo autonomo svolgimento". (Cass. 17207/2013)
Ciò che occorre accertare ai fini del riconoscimento del privilegio, afferma un’altra pronuncia del 2015, “non è se il professionista richiedente abbia o meno organizzato la propria attività in forma associativa, ma se il cliente abbia conferito l'incarico dal quale deriva il credito a lui personalmente ovvero all'entità collettiva (associazione, Studio professionale) nella quale, eventualmente, egli è organicamente inserito quale prestatore d'opera qualificato: nel primo caso il credito ha natura privilegiata, in quanto costituisce in via prevalente remunerazione di una prestazione lavorativa, ancorché necessariamente (ossia a prescindere dal fatto che lo Studio sia nella titolarità di un singolo o di più professionisti) comprensiva delle spese organizzative essenziali al suo autonomo svolgimento, mentre nel secondo ha natura chirografaria, perché ha per oggetto un corrispettivo riferibile al lavoro del professionista solo quale voce del costo complessivo di un'attività che è essenzialmente imprenditoriale”. (Cass. 4485/2015)
Tale primo orientamento faceva peraltro salva la possibilità per il professionista di cedere il proprio credito all’associazione professionale conservando il privilegio.
La giurisprudenza successiva, pur non disconoscendo l’orientamento appena esaminato, ha ampliato le ipotesi in cui può essere riconosciuto il privilegio ai crediti dell’associazione professionale.
In particolare, nel 2016 la Cassazione ha precisato che l’ipotesi della cessione del credito “non esaurisce la questione di cui si tratta, ovvero, in altri termini, la mancanza della cessione non comporta di per sé la non riconoscibilità del privilegio, costituendo solo una delle ipotesi che possono ricorrere nel caso di insinuazione al passivo dello Studio associato in via privilegiata”.
In particolare, ha previsto che “nel rispetto dei limiti dell'interpretazione estensiva dell'art.2751 bis n.2 c.c., la domanda di insinuazione al passivo in via privilegiata da parte dello Studio associato faccia presumere che non spetti il privilegio, a meno che l'istante non provi che il credito si riferisca alla prestazione svolta personalmente dal professionista in via esclusiva o prevalente e sia di pertinenza dello stesso professionista, pur se formalmente richiesto dall'associazione. Ne conseguirà la rigorosa indagine sul concreto espletamento della prestazione professionale, tenendosi anche conto della dimensione dell'associazione professionale, ed il riconoscimento del privilegio in oggetto limitatamente al credito o alla parte di esso per il quale sarà stata data dalla parte la prova rigorosa in oggetto”. (Cass. 6285/2016)
Tale orientamento è confermato dalla recentissima Cassazione n. 10997/2021, la quale ha ribadito che “la domanda di insinuazione al passivo fallimentare proposta da uno Studio associato fa presumere l'esclusione della personalità del rapporto d'opera professionale da cui quel credito è derivato e, dunque, l'insussistenza dei presupposti per il riconoscimento del privilegio ex art. 2751 bis, n. 2, c.c., salvo che l'istante dimostri che il credito si riferisca ad una prestazione svolta personalmente dal professionista, in via esclusiva o prevalente, e sia di pertinenza dello stesso professionista, pur se formalmente richiesto dall'associazione professionale”.
In proposito, il Tribunale di Alessandria, aderendo a quest’ultimo orientamento, ha compiuto un ulteriore sforzo interpretativo per definire i due presupposti fondamentali per ottenere il riconoscimento del privilegio, ovverosia: i) la pertinenza del credito al singolo professionista; ii) lo svolgimento della prestazione in modo esclusivo o prevalente da parte del medesimo.
Il percorso argomentativo del Tribunale parte dalla stessa ratio sottesa al privilegio previsto dall’art. 2751bis c.c., ovvero quella di tutelare i crediti che vanno a retribuire il lavoro in tutte le sue forme, e nello specifico, il lavoro intellettuale. Questo perché l’applicazione del privilegio in esame ai crediti delle associazioni professionali è pur sempre il frutto di una estensione analogica della portata della norma, che si giustifica solo se ricorre la stessa ratio che caratterizza il privilegio dei crediti dell’attività professionale svolta in forma individuale, cioè quella di retribuire il lavoro intellettuale.
Il Tribunale di Alessandria ha dunque affermato che all’associazione professionale che agisca per un suo credito, derivante da una prestazione svolta da qualcuno degli associati, il privilegio spetti se quelle somme, detratte eventualmente le spese necessarie per la vita dell’associazione, competano a
chi effettivamente ha svolto quella prestazione: solo a queste condizioni, infatti, quei crediti sono destinati a retribuire il lavoro e ricorre la ratio che giustifica la concessione del privilegio.
Occorre quindi - ha aggiunto il Tribunale - che gli accordi interni tra gli associati prevedano che il compenso percepito da un determinato cliente spetti a chi ha concretamente svolto la prestazione in suo favore, o quanto meno meccanismi per assicurare che, nella rendicontazione periodica, gli utili siano distribuiti in misura proporzionale al lavoro svolto da ciascuno degli associati. Invece, tutte le volte che gli accordi interni prevedano una diversa distribuzione degli utili, per esempio in misura fissa tra gli associati sulla base delle quote di partecipazione all’associazione stessa, non si può ritenere che i compensi vadano a retribuire il lavoro svolto da ciascuno, perché almeno in parte retribuiscono anche chi non ha svolto attività.
Quanto al secondo requisito, rappresentato dalla necessità che la prestazione debba essere eseguita in misura esclusiva o prevalente dal singolo professionista, il Tribunale ha affermato che esso ricorra allorquando sia individuabile l’associato che ha svolto l’attività in via esclusiva o prevalente, anche avvalendosi di collaboratori che ha coordinato e del cui lavoro si è appropriato assumendone la paternità nei confronti del cliente.
Concludendo, il Tribunale di Alessandria ha respinto l’opposizione presentata dallo Studio associato di Dottori Commercialisti, ritenendo indimostrato il primo dei due presupposti esaminati, non avendo il ricorrente dimostrato che il credito vantato spettasse integralmente al professionista che aveva svolto la prestazione lavorativa, non avendo prodotto alcun documento dal quale potessero desumersi i criteri di ripartizione degli utili nell’ambito dell’associazione. Tale decisione ha peraltro reso del tutto superfluo l’esame del secondo presupposto per il riconoscimento del privilegio.
Condividi: