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Maggiori costi forfettari in riduzione dell'accertamento bancario: la svolta della Cassazione

Maggiori costi forfettari in riduzione dell'accertamento bancario: la svolta della Cassazione
Autore: Avvocato Silvio Rivetti

La possibilità che vengano riconosciuti costi deducibili al contribuente sottoposto alle indagini bancarie, in riduzione dei maggiori imponibili che emergono dalle movimentazioni su conto corrente, costituisce una significativa novità: il frutto dell’ennesima elaborazione “creativa” di una giurisprudenza sempre più legiferante.

Sommario

Le norme disciplinanti le indagini bancarie e la sentenza di Cassazione n. 5586/2023
La soluzione innovativa della Suprema Corte, su spunto della Corte Costituzionale
Conclusioni: un cambiamento di rotta importante

Le norme disciplinanti le indagini bancarie e la sentenza di Cassazione n. 5586/2023

Con la sentenza 23 febbraio 2023, n. 5586, la Corte di Cassazione ha ancora una volta varato, in termini più creativi che interpretativi, l’ennesimo “aggiornamento” della normativa fiscale: intervenendo stavolta, e cogliendo lo spunto fornito dalla sentenza della Corte Costituzionale 31 gennaio 2023, n. 10, sul delicatissimo tema dei recuperi d’imposta fondati sulle indagini finanziarie di cui all’articolo 32 del D.P.R. 600/73.
Com’è noto, tale norma dispone a favore del Fisco la presunzione legale relativa, vincibile con la prova contraria, per la quale tutti i movimenti di prelevamento e di versamento sui conti correnti dei contribuenti, non giustificati da questi ultimi in relazione all’attività svolta (con riconduzione a operazioni già contabilizzate o comunque rilevanti ai fini dell’esposizione a tassazione), rappresentano materia imponibile: giustificandosi tale previsione sulla scorta del ragionamento presuntivo, per cui i versamenti ingiustificati farebbero riferimento a somme incassate in maniera “occulta”, in sottrazione da tassazione; mentre i prelevamenti ingiustificati rappresenterebbero il mezzo con cui i contribuenti si procurano la provvista per eseguire operazioni attive a loro volta “occulte”, da non dichiararsi.
In tema, è utile ricordare che la Corte Costituzionale è già intervenuta significativamente una prima volta, parzialmente stigmatizzando il ragionamento presuntivo legale con la sentenza n. 228/2014, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del comma 1 n. 2) dell’articolo 32 citato, là dove si voleva applicare anche ai professionisti e non solo ai titolari di reddito d’impresa la presunta equiparazione a maggiori redditi imponibili dell’importo dei prelevamenti (rilevando come, in sostanza, se per un’impresa è possibile prelevare danaro per “acquistare in nero” merce, allo scopo di rivenderla poi egualmente “in nero”, siffatta operazione risulta invece impossibile al professionista e al lavoratore autonomo: cfr conformi le successive Cass. nn. 18100/2022, 19806/2017, 18801/2017).
In tale quadro, la norma consente sempre al contribuente di opporre alla presunzione legale sopra indicata idonea prova contraria, rendendo - idealmente nell’apposita fase di contraddittorio con gli uffici precedente l’emissione dell’avviso di accertamento - analitica dimostrazione che ogni operazione è fiscalmente irrilevante. Tuttavia nessuna norma di Legge prevede la necessità di riconoscere, con riguardo ai maggiori redditi imponibili determinati in forza di quanto sopra in capo al contribuente, l’obbligo di prendere in considerazione anche i maggiori costi che siano correlabili ai maggiori ricavi così accertati, resi necessari per operare nel mondo economico.

La soluzione innovativa della Suprema Corte, su spunto della Corte Costituzionale

Nella sua sentenza, la Corte di Cassazione esamina il caso di una ditta individuale, operante in contabilità semplificata nel settore del commercio, sottoposta a indagini bancarie all’esito di attività di verifica fiscale. Nel giudicare il ricorso del contribuente avverso la sentenza regionale sfavorevole, la Suprema Corte ha ritenuto di accogliere solo la ragione di doglianza per la quale sarebbe principio “da considerarsi immanente al sistema tributario” il doveroso riconoscimento di costi in deduzione dei maggiori ricavi accertati.
Sul tema, la Cassazione ha meglio puntualizzato che tale principio non è consustanziale all’ordinamento fiscale, ma più precisamente elaborato dalla giurisprudenza solo con riguardo agli accertamenti induttivi puri ai sensi dell’articolo 32 D.P.R. 600/73, che a rigore implicano la completa inattendibilità della contabilità (mentre, negli accertamenti parzialmente induttivi, quali quelli esperiti mercè le indagini bancarie, si presuppone una complessiva attendibilità delle scritture contabili, da rettificarsi solo in quota parte). Nondimeno, la Suprema Corte coglie gli spunti elaborati dalla recente sentenza della Corte Costituzionale n. 10/2023, per estendere anche agli accertamenti analitico-induttivi basati sulle indagini finanziarie le riflessioni della Consulta: per la quale non può negarsi al contribuente il diritto di dimostrare l’esistenza di maggiori costi deducibili, in riduzione delle operazioni non giustificate; non essendo ammissibile che al contribuente tenutario di contabilità inattendibile vengano riconosciuti maggiori costi in deduzione, pure forfettariamente (come attestato anche dalle Entrate con la Circolare 32/E/2006), mentre al tenutario di una contabilità complessivamente attendibile tale facoltà non venga data.

Conclusioni: un cambiamento di rotta importante

La pronunzia in commento sancisce una svolta a favore dei contribuenti, che si vedono attribuire un elemento di difesa ulteriore rispetto alla semplice facoltà di giustificare le operazioni bancarie compiute. La Cassazione, anzi, compie rispetto alla Consulta un passo in più: perché se la Corte Costituzionale fa comunque riferimento all’onere gravante sul contribuente di provare la certezza e la deducibilità dei maggiori costi, ai sensi della regola generale dell’articolo 109 TUIR, la sentenza in commento più semplicemente demanda al Giudice del rinvio la determinazione “forfettaria” di tali costi in reazione ai ricavi accertati, prescindendo da qualunque prova da fornirsi da parte del contribuente; e avvalendosi, al più, di una consulenza tecnica d’ufficio.
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