Autore: Avv. Fabrizio Testa
Da tempo si combatte l’inutile formalismo forense che ha indotto gli avvocati a realizzare attestazioni di conformità contrarie ai principi di sinteticità e chiarezza ormai anche codificati, con il ricorso a formule e modelli estremamente articolati, con riferimenti normativi analitici e dettagliati comprendenti anche ogni intervenuta modifica legislativa.
Lo si combatte perché è inutile, inopportuno, rischioso per la possibilità di indicare norme errate o non più vigenti e mai chiaro.
Già anteriormente alla riforma Cartabia si era cercato di rammentare agli avvocati che, così come per le cancellerie - ancor prima dell’avvento del processo telematico - era sufficiente il timbro di “copia conforme”, allo stesso modo per i legali, cui nel frattempo è stato attribuito il potere di attestare la conformità di atti e documenti confermato e riordinato dalla predetta riforma, è sufficiente appunto attestare semplicemente tale conformità senza formule dotte, chilometriche o sacramentali, pur se automatizzate dai redattori.
Ciò si è reso ancor più evidente e necessario a seguito della riforma Cartabia, che ha trasferito dalla legislazione speciale alle disposizioni di attuazione del codice di rito i poteri certificatori degli avvocati, aumentando il rischio di riferimenti normativi errati nelle attestazioni.
Basta quindi, semplicemente, attestare che la copia è conforme all’originale o comunque al documento da cui è stata estratta: nei casi ovviamente consentiti dalla legge, noti all’avvocato e al giudice senza necessità di indicarli.
Un’apprezzabile conferma giurisprudenziale di tale modus operandi si rinviene in una recente sentenza del Tribunale di Milano, la n. 8267 pubblicata il 24 settembre u.s. e consultabile sulla Banca Dati Pubblica di Merito ministeriale.
Proponendo l’opposizione ad un precetto a lei notificato, una società aveva contestato l’inidoneità dei provvedimenti giudiziali azionati a valere come titoli esecutivi perché la relativa attestazione di conformità in relata di notifica non faceva espresso riferimento agli articoli 475 c.p.c. e 196 octies d.att. c.p.c.
Il Tribunale di Milano, con lodevole e corretta decisione, ha ritenuto palesemente infondata la doglianza, essendo sufficiente per l’avvocato attestare la conformità all’originale dei titoli esecutivi estratti dal fascicolo informatico, perché nessuna norma pretende il ricorso a formule sacramentali o il richiamo a disposizioni normative nelle predette certificazioni.
Gli avvocati quindi, anche grazie a queste rassicurazioni giudiziali, possono con tranquillità applicare i principi di sinteticità e chiarezza pure nelle attestazioni di conformità.