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Istanza di legittimo impedimento via PEC: il rischio di tempestiva conoscenza ricade sull’avvocato?

Istanza di legittimo impedimento via PEC: il rischio di tempestiva conoscenza ricade sull’avvocato?

Le potenzialità offerte dalle comunicazioni a mezzo posta elettronica certificata ne offrono una naturale efficacia espansiva, risultando quindi utilizzate, nella pratica, anche in assenza di obbligatorietà, o laddove siano comunque consentite modalità di trasmissione alternative.

Può quindi accadere che il difensore accusante un legittimo impedimento a presenziare ad un’udienza rivolga al giudice istanza di rinvio a mezzo PEC, magari perfino il giorno stesso, alcune ore prima dell’orario fissato.

Il caso è stato trattato e dibattuto dalla V Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione, la quale, con sentenza n. 1067/2019 depositata il 9 maggio 2019, ha ritenuto che l’impiego della posta elettronica certificata per comunicare l’impedimento a comparire in udienza non renda, in se e per sé, l’istanza irricevibile o inammissibile, ma il giudice sarà tenuto a valutarla solamente qualora ne abbia avuta conoscenza.

Incombe pertanto sull’avvocato mittente il pericolo che detta istanza, benché trasmessa prima dell’udienza, non venga sottoposta al giudice destinatario in tempo utile per essere valutata, rimanendo, diversamente, ininfluente per le sorti del procedimento.

Come letteralmente statuito dagli Ermellini, la circostanza che l’istanza di rinvio non venga posta all’attenzione del giudice procedente costituisce la concretizzazione di un rischio, che ricade a carico di chi abbia scelto di utilizzare tale meccanismo di trasmissione.

La Corte ha infatti richiamato, come fondamento per la propria decisione, la giurisprudenza di legittimità sviluppatasi sulle trasmissioni via fax, che ne ammettono la possibilità di valutazione, per il giudice, soltanto se egli ne abbia preso conoscenza, ovvero abbia potuto visionarla prima di chiudere il verbale.

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