Godere di ferie è un diritto irrinunciabile del
lavoratore dipendente, sancito dalla Costituzione e dal Codice Civile
(art. 36 Costituzione; art. 2113 c.c.).
Il datore di lavoro che non concede le ferie ai propri
dipendenti, può incorrere in sanzioni pecuniarie, variabili in
funzione del numero di lavoratori coinvolti e della durata della
violazione; inoltre, può essere condannato al risarcimento del danno per
il pregiudizio subìto dal lavoratore.
Dal punto di vista fiscale e contributivo, le
indennità corrisposte per ferie non godute alla cessazione del rapporto di
lavoro, sono considerate retribuzione imponibile e sono quindi
assoggettate a tassazione corrente e al pagamento della contribuzione
previdenziale.
In ogni caso, il datore di lavoro è tenuto ad aggiungere
l’importo del compenso per ferie non godute alla retribuzione imponibile
del mese successivo a quello di scadenza del periodo di fruizione delle stesse.
La retribuzione imponibile sarà poi decurtata dello stesso importo, per non
duplicare il pagamento della contribuzione, quando le ferie saranno
effettivamente godute dal lavoratore o alla cessazione del rapporto di lavoro.
I contributi previdenziali devono essere versati entro
il diciottesimo mese successivo alla fine dell’anno solare di maturazione delle
ferie, salvo che non intervengano norme contrattuali, regolamenti aziendali
o pattuizioni individuali.
Il tema delle ferie non godute è delicato anche per l’applicazione
dell’esonero contributivo (6 e 7%) previsto dalla Legge di Bilancio 2023
e dal Decreto lavoro; infatti, il lavoratore potrebbe essere escluso
dall’agevolazione contributiva a causa dell’aumento dell’imponibile
contributivo dovuto al compenso per ferie non godute.