Autore: Avv. Elisa Vecchini
Scopri i 5 quesiti che, l’8 e 9 giugno, potrebbero riscrivere il diritto del lavoro
Sommario:
- Quesito n. 2: contratto di lavoro a tutele crescenti - disciplina dei licenziamenti illegittimi
- Quesito n. 3: piccole imprese - Licenziamenti e relativa indennità
- Quesito n. 4: abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi
- Quesito n. 5: esclusione della responsabilità solidale del committente, dell'appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici
- Scenari
- Considerazioni finali
Se e come cambierà il mondo del lavoro dopo il referendum? Nonostante l’8 e il 9 giugno siano alle porte e nonostante i temi trattati siano di grande impatto per il mondo del lavoro, il referendum a cui ci apprestiamo ad avvicinarci è qualcosa di cui si parla poco.
Va innanzitutto detto che i quesiti che lo compongono sono stati in larga parte voluti, creati e appoggiati dalla CGIL, ed è rilevante come questa sigla sindacale sia stata l’unica a sostenere questa chiamata al voto, nonostante il fulcro referendario sia quasi totalmente afferente al sistema “lavoro”, considerato che mira a cancellare alcune specifiche impostazioni che il Jobs Act del 2015 e le successive modifiche (e correttivi) avevano introdotto.
Lo scopo, secondo i promotori, è quello di tornare a rafforzare le tutele dei lavoratori che appaiono, nell’impianto attuale indebolite; sennonché, come vedremo, l’impatto economico di un accoglimento massivo (la vittoria dei sì) potrebbe, dal lato opposto, indebolire pesantemente un tessuto aziendale già fortemente appesantito sotto altri fronti.
I quesiti, come sempre, hanno un carattere molto tecnico e, proprio perché può risultare difficile anche per gli addetti ai lavori comprenderne i confini, ritengo che un’esemplificazione pratica possa contribuire a creare maggiore consapevolezza nel voto che esprimeremo.
Sarà omesso l’esame del primo quesito che attiene alla cittadinanza e che prevede, a fini dell’ottenimento della cittadinanza, appunto, la riduzione del periodo di permanenza in Italia per i cittadini extracomunitari da 10 a 5 anni. Sarà omesso l’esame in quanto unico a non essere attinente in modo diretto con il mondo del lavoro.
Quesito n. 2: contratto di lavoro a tutele crescenti - disciplina dei licenziamenti illegittimi
Testo del quesito
Volete voi l'abrogazione del d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23, come modificato dal d.l. 12 luglio 2018, n. 87, convertito con modificazioni dalla L. 9 agosto 2018, n. 96, dalla sentenza della Corte costituzionale 26 settembre 2018, n. 194, dalla legge 30 dicembre 2018, n. 145; dal d.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14, dal d.l. 8 aprile 2020, n. 23, convertito con modificazioni dalla L. 5 giugno 2020, n. 40; dalla sentenza della Corte costituzionale 24 giugno 2020, n. 150; dal d.l. 24 agosto 2021, n. 118, convertito con modificazioni dalla L. 21 ottobre 2021, n. 147; dal d.l. 30 aprile 2022, n. 36, convertito con modificazioni dalla L. 29 giugno 2022, n. 79 (in G.U. 29/06/2022, n. 150); dalla sentenza della Corte costituzionale 23 gennaio 2024, n. 22; dalla sentenza della Corte costituzionale del 4 giugno 2024, n. 128, recante "Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183” nella sua interezza?
In altre parole…
Questo decreto legislativo, noto anche come Jobs Act, si compone di 11 articoli (oltre a quello che determina l’entrata in vigore) e si riferisce a tutte le norme che si applicano ai dipendenti (operai, impiegati, quadri) assunti dopo marzo 2015 da aziende che soddisfano i requisiti occupazionali di cui all’art. 18 L. 300/70.
Nello specifico, il “famoso” art. 18 si riferisce ad aziende che hanno alle dipendenze più di quindici lavoratori, nonché a quelle che, nell’ambito dello stesso comune, occupano più di quindici dipendenti, anche se ciascuna unità produttiva, singolarmente considerata, non raggiunge tali limiti, e in ogni caso a quelle con più di sessanta dipendenti.
L’avvento di questo decreto legislativo mirava, soprattutto, a ridefinire le modalità di chiusura dei rapporti di lavoro, avendo come principale oggetto la riforma, appunto, delle tutele previste dall’art. 18 L. 300/70 in caso di licenziamento.
Più specificatamente, assegnava alla reintegra nel rapporto di lavoro un ruolo più marginale rispetto al passato, attribuendo, al contrario, una posizione predominante delle tutele risarcitorie in senso stretto.
Ciò costituiva una profonda riforma del sistema già in essere a seguito della c.d. Legge Fornero (L. 92/2012).
Conseguentemente, l’attuale impianto previsto dal d.lgs. 23/2015 stabilisce che la reintegrazione nel posto di lavoro precedentemente occupato dal lavoratore licenziato sia riconosciuta unicamente nei casi di licenziamento discriminatorio (in rapporto al sesso, razza, credo politico, religione e tutte le altre fattispecie previste anche dalla Costituzione), di licenziamento nullo perché disposto dal datore di lavoro in violazione di norme specifiche (ad es. durante l’anno successivo al matrimonio, o fino all’anno del bambino ecc.) o per il licenziamento orale.
In tutte le altre ipotesi di illegittimità del licenziamento per giustificato motivo (oggettivo o soggettivo) o per giusta causa, il giudice determina unicamente un risarcimento economico secondo un range dalle sei alle trentasei mensilità (limite innalzato nel 2018, in quanto precedentemente circoscritto a massimo ventiquattro mensilità). Allo stesso modo il risarcimento è puramente economico in caso di vizi formali e procedurali (con un range dalle sei alle dodici mensilità).
Il decreto disciplina anche la revoca del licenziamento entro quindici giorni e l’offerta di conciliazione, attraverso la quale, al fine di evitare il giudizio, l’azienda offre al dipendente (affinché questi non impugni il licenziamento), un numero di mensilità pari a ogni anno di anzianità (con un minimo di tre e un massimo di ventisette), che non sono soggette a contribuzione e non costituiscono reddito imponibile.
Per le piccole imprese, per cui non sono applicabili le norme sui licenziamenti di cui sopra, il decreto dà oggi la possibilità di accedere alla delineata offerta di conciliazione con somme ridotte.
Da ultimo il decreto specifica, nell’ottica di unificazione del “rito lavoro” nelle aule dei tribunali, che non si applicano le norme speciali previste dalla c.d. Legge Fornero la quale, al contrario, aveva istituito uno speciale doppio binario per l’impugnazione dei licenziamenti.
È opportuno sottolineare che sull’art. 18 della L. 300/70 (Statuto dei Lavoratori), nel corso degli anni, sono intervenute diverse riforme, anche sovrapposte tra loro, nessuna delle quali di facile interpretazione, tanto da obbligare la giurisprudenza a semplificare o, addirittura, mettere ordine.
Un esempio è l’ulteriore ipotesi di reintegra non è espressamente enunciata ma pacificamente definita. È il caso del licenziamento per motivi oggettivi determinati da riorganizzazione/soppressione mansione, nel quale l’azienda non abbia adempiuto all’onere di repêchage; cioè nel caso in cui l’azienda non abbia offerto in modo concreto al dipendente una diversa opzione rispetto al licenziamento. In tale circostanza, le aule dei tribunali hanno plasmato una normativa lacunosa in un ulteriore caso di diritto alla reintegrazione.
Dello stesso avviso è la giurisprudenza che ammette che, in caso di licenziamento per superamento del periodo di comporto, ove il lavoratore fornisca prova che il periodo di malattia è stato determinato da un’azione datoriale, lo stesso avrà accesso alla tutela reintegratoria.
Questi esempi servono a far comprendere come, seppure lo scopo dell’abrogazione sia quello di consentire ai lavoratori una tutela più ampia, risulta doveroso sottolineare come, nei fatti, sia stata data un’estensione più ampia rispetto agli stringenti termini utilizzati nel decreto legislativo di cui si mira all’eliminazione.
Vantaggi
Nel caso in cui dovesse prevalere il voto favorevole all’abrogazione (il sì), si tornerebbe ad applicare il precedente impianto ancora in uso per coloro che risultano assunti prima del marzo 2015, definito dalla L. 92/2012.
Le ipotesi di reintegrazione sarebbero ampliate, poiché, oltre ai casi di nullità e discriminazione, la stessa si applicherebbe anche nei casi di insussistenza del fatto contestato o quando si accerta che il fatto rientra tra le condotte punibili con una sanzione conservativa in base alle norme dei contratti collettivi. Infatti, queste ipotesi attualmente vengono sanzionate unitamente con un ristoro economico, senza reintegrazione.
Corre l’obbligo di precisare che, nel mutato contesto economico sociale, potrebbe accadere, in caso di vittoria del sì (e quindi di abrogazione del d.lgs. 23/2015) che il Governo - con il successivo supporto del Parlamento - intervenga per mitigare gli effetti e quindi per non riportare in essere pedissequamente la L. 92/2012, ma una sua versione modificata.
Svantaggi
Dal punto di vista delle imprese, soprattutto medie e grandi, il ritorno al reintegro potrebbe significare un aumento del contenzioso. Le stesse, infatti, sarebbero orientate maggiormente a far valutare le proprie azioni da un giudice, stante (spesso) il confine sottile tra ciò che renderebbe legittimo o meno il licenziamento.
Un sistema, inoltre, che rende difficile (perché rischiosa) la gestione libera del personale rischierebbe di scoraggiare investimenti anche stranieri.
Si precisa, inoltre, che, seppure l’obiettivo sia quello del ritorno a maggiori ipotesi di reintegrazioni nel posto di lavoro, è anche vero che molto spesso (quasi sempre) i dipendenti licenziati scelgono di optare per la sostituzione della reintegrazione con un'indennità pari a quindici mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto.
Ciò comporta che, in aziende che superano di poco i quindici dipendenti, tornare ad una soglia più ampia di situazioni che potrebbero originare la reintegra significherebbe esporli a rischi imprenditoriali più ampi.
Quesito n. 3: piccole imprese - Licenziamenti e relativa indennità
Testo del quesito
Volete voi l’abrogazione dell’articolo 8 della legge 15 luglio 1966, n. 604, recante “Norme sui licenziamenti individuali”, come sostituito dall’art. 2, comma 3, della legge 11 maggio 1990, n. 108, limitatamente alle parole: “compreso tra un”, alle parole “ed un massimo di 6” e alle parole “La misura massima della predetta indennità può essere maggiorata fino a 10 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai dieci anni e fino a 14 mensilità per il prestatore di lavoro con anzianità superiore ai venti anni, se dipendenti da datore di lavoro che occupa più di quindici prestatori di lavoro”?
In altre parole…
L’art. 8 della L. 604/66 detta le norme per i licenziamenti (e per le loro tutele) per tutte quelle aziende che non soddisfano i requisiti dell’art. 18 Statuto dei Lavoratori e che vengono definite micro-piccole imprese.
Attualmente, in caso di accertata illegittimità del licenziamento, il datore di lavoro non è mai sanzionabile con la reintegra (ad eccezione dei casi di nullità perché valgono le stesse norme delle grandi aziende di cui ho parlato sopra) bensì rischia “solo” il pagamento di un risarcimento in un range tra le due mensilità e mezzo e le sei mensilità.
Lo scopo evidente è di innalzare la tutela dei lavoratori anche nelle piccole imprese per equipararle alle grandi imprese.
Vantaggi
Il vantaggio per i lavoratori è immediato. Attualmente due dipendenti con la stessa anzianità di servizio ma, in aziende una con oltre quindici dipendenti e una con meno di quindici dipendenti, riceverebbero in caso di licenziamento illegittimo differenti tutele.
L’abrogazione richiesta nel referendum permette di eliminare ogni diversità nel prestare l’attività in un’azienda piccola o in una grande.
Svantaggi
L’evidente svantaggio è tutto delle micro-piccole imprese che si troverebbero, in caso di vittoria del sì, a dover subire un carico economico potenzialmente eccessivo per la loro realtà che spesso non ha la liquidità per affrontare vertenze costose o risarcimenti ingenti.
L’assenza di un limite chiaro, in un contesto sociale formato da aziende piccole può generare insicurezza nei datori di lavoro e indurli a cercare forme di assunzione meno stabilizzanti ad es. l’utilizzo dei contratti a tempo determinato (nei quali scaduto il limite massimo di proroghe la sostituzione del personale sarebbe alta), contratti di somministrazione.
Quesito n. 4: abrogazione parziale di norme in materia di apposizione di termine al contratto di lavoro subordinato, durata massima e condizioni per proroghe e rinnovi
Testo del quesito
Volete voi l’abrogazione dell’articolo 19 del d.lgs. 15 giugno 2015, n. 81 recante “Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell’articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183”, comma 1, limitatamente alle parole “non superiore a dodici mesi. Il contratto può avere una durata superiore, ma comunque”, alle parole “in presenza di almeno una delle seguenti condizioni”, alle parole “in assenza delle previsioni di cui alla lettera a), nei contratti collettivi applicati in azienda, e comunque entro il 31 dicembre 2024, per esigenze di natura tecnica, organizzativa e produttiva individuate dalle parti;” e alle parole “b bis)”; comma 1 -bis , limitatamente alle parole “di durata superiore a dodici mesi” e alle parole “dalla data di superamento del termine di dodici mesi”; comma 4, limitatamente alle parole “,in caso di rinnovo,” e alle parole “solo quando il termine complessivo eccede i dodici mesi”; articolo 21, comma 01, limitatamente alle parole “liberamente nei primi dodici mesi e, successivamente,”?
In altre parole…
Il testo del quesito appare indubbiamente complicato perché mira a eliminare completamente l’art. 19 del Decreto Legislativo 81/2015 bensì solo alcune parti.
L’art. 19, nel suo lungo testo, prevede che l’azienda possa stipulare contratti di lavoro a tempo determinato e rinnovarli per un termine massimo di ventiquattro mesi nei quali però, solo dopo dodici mesi, è richiesto - ai fini del prolungamento ai ventiquattro mesi - che si verifichino alcune condizioni: previsioni da parte dei contratti collettivi, esigenze tecniche organizzative, o sostituzione di altri lavoratori.
Oggi, quindi, le aziende sono libere di stipulare contratti a termine entro i dodici mesi, o di prorogare entro questo termine contratti più brevi, senza necessità di motivare la scelta di questo strumento piuttosto che di un contratto a tempo indeterminato.
Vantaggi
L’intento del quesito è chiaro: contrastare l’abuso dei contratti che per definizione sono precari.
L’abrogazione ha lo scopo di reintrodurre l’obbligo per le aziende di inserire, in caso di stipula di contratto a tempo determinato, le motivazioni (organizzative, tecniche, produttive, sostitutive) per le quali si opta per il contratto a termine, in luogo di quello a tempo indeterminato, così come accadeva nella previgenza del D.lgs. 368/01.
In questo modo, il ricorso a contratti di lavoro precari potrebbe essere limitato e garantirebbe ai prestatori più chiari motivi in caso di contratto a termine.
Una maggiore stabilità lavorativa potrebbe incentivare la formazione interna volta a migliorare la qualità del lavoro e a ridurre il turnover forzato nonché a fidelizzare i collaboratori.
Svantaggi
Le aziende, anche in ragione di quanto detto sopra rispetto alla possibilità di avere ipotesi più ampie di reintegra, rischiano di trovarsi ostacolati da vincoli di ingresso e uscita dei dipendenti che spesso sono il frutto di oscillazioni della domanda e dell’offerta soprattutto in campi come il turismo, agricoltura, spettacolo e logistica.
È importante rammentare inoltre che le vecchie causali dei contratti a termine avevano sempre generato il fiorire di contenziosi nei quali si disquisiva della genuinità delle ragioni aziendali addotte.
Reintrodurre il sistema rischia di alimentare nuovamente le cause in Tribunale.
Un effetto collaterale, già vissuto in passato, potrebbe essere la proliferazione di forme alternative di lavoro (false partite IVA, collaborazioni fittizie), con una riduzione della trasparenza complessiva.
Quesito n. 5: esclusione della responsabilità solidale del committente, dell'appaltatore e del subappaltatore per infortuni subiti dal lavoratore dipendente di impresa appaltatrice o subappaltatrice, come conseguenza dei rischi specifici propri dell'attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici
Testo del quesito
Volete voi l’abrogazione dell’art. 26, comma 4, del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, recante “Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro” come modificato dall’art. 16 del decreto legislativo 3 agosto 2009 n. 106, dall’art. 32 del decreto legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modifiche dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, nonché dall’art. 13 del decreto legge 21 ottobre 2021, n. 146, convertito con modifiche dalla legge 17 dicembre 2021, n. 215, limitatamente alle parole “Le disposizioni del presente comma non si applicano ai danni conseguenza dei rischi specifici propri dell’attività delle imprese appaltatrici o subappaltatrici.”?
In altre parole…
Anche questo quesito mira ad abrogare un impianto di bilanciamento di diritti e tutele per aziende e lavoratori che era da tempo consolidato nell’ambito degli appalti.
Il fulcro è, questa volta, il D.lgs. 81/08 che, tra le sue numerose disposizioni, affronta, all’art. 26, anche il tema della responsabilità del committente negli appalti.
Nell’attuale formulazione il datore di lavoro (che è quindi il committente) è onerato di verificare tutta una serie di requisiti delle aziende alle quali affida gli appalti nonché di fornire informazioni sui rischi specifici.
Accanto a questi obblighi l’articolo sancisce una responsabilità solidale tra il committente e l’appaltatore nei confronti dei dipendenti di quest’ultimo per il mancato pagamento delle retribuzioni e dei contributi previdenziali e assicurativi, per tutti i danni per i quali il lavoratore non risulti indennizzato dall’INAIL o dall’INPS o dall’IPSEMA.
Questa responsabilità solidale, tuttavia, è limitata nella misura in cui il committente fornisca prova di aver rispettato e adempiuto a tutti gli obblighi previsti a suo carico.
Lo scopo del quesito è ripristinare una responsabilità solidale per qualsiasi questione che attenga ai dipendenti dell’appaltatore che eseguono l’attività presso il committente.
Vantaggi
In molti settori (edilizia, logistica, servizi di pulizia) l’utilizzo degli appalti è la normalità e proprio a causa di una normativa frammentata e imprecisa, molti dipendenti rischiano di ricevere una tutela inferiore rispetto al diritto vantato o di non riceverne affatto.
Non è inusuale la pratica di creazione di aziende fittizie che assumono manodopera da impiegare in appalti che si rivelano “scatole vuote” nel momento di necessità di pagamento stipendi, infortuni ecc.
Il reinserimento della responsabilità solidale per così dire, completa, mira, oltre che ad una maggiore tutela dei dipendenti, anche a scoraggiare pratiche illecite.
Svantaggi
Per contro, la rigidità dei controlli che le aziende committenti sono tenute, in caso di vittoria del sì, a erigere implicano certamente un appesantimento burocratico e legale.
Anche nel caso di un committente diligente il rischio di rispondere per inadempienze non sue sarebbe alto con aggravio di costi e gestione.
Scenari
Alla luce di tutto quanto qui emerso ritengo che sia interessante riassumere con esempi concreti cosa accadrà se vincerà il SÌ o se vincerà il NO ponendoci dal diverso lato di tutela del lavoratore e di un’azienda.
Quesito n. 2 - Abolizione Job Act
Per i lavoratori:
- Vittoria del SÌ: In caso di licenziamento per motivi oggettivi (quindi riferiti all’ambito economico dell’azienda) se il giudice considererà il licenziamento illegittimo, il dipendente potrà essere reintegrato al lavoro e ricevere un risarcimento.
- Vittoria del NO: Nello stesso caso di licenziamento per motivi oggettivi, il licenziamento illegittimo produrrà solo l’effetto di ottenere un risarcimento economico.
Per le aziende:
- Vittoria del SÌ: Dovrai valutare con maggiore attenzione le motivazioni economiche di un licenziamento, sapendo che esiste la possibilità concreta di reintegro.
- Vittoria del NO: Il regime attuale resta invariato: maggiore prevedibilità nei costi, ma attenzione alla documentazione a supporto delle decisioni.
Quesito n. 3 - Risarcimento nelle piccole imprese
Per i lavoratori:
- Vittoria del SÌ: In caso di licenziamento illegittimo, l’indennità risarcitoria sarà valutata in base alla gravità e anzianità, senza un limite massimo preciso.
- Vittoria del NO: Nello stesso caso, nonostante l’anzianità il risarcimento massimo sarà di sei mensilità.
Per le aziende:
- Vittoria del SÌ: Sia in caso di trattativa finalizzata all’accordo che in contenzioso, dovrà essere considerato un maggiore esborso economico.
- Vittoria del NO: Per il licenziamento illegittimo sarà sempre previsto un tetto massimo, che consentirà di prevedere i costi e gestire il rischio di contenzioso.
Quesito n. 4 - Limitazioni ai contratti a termine
Per i lavoratori:
- Vittoria del SÌ: Il contratto a termine potrà essere stipulato solo per motivi oggettivi e dimostrabili (es. sostituzione maternità, picco di produzione). In caso di mancanza di motivazioni, saranno più alte le possibilità di trasformazione a tempo indeterminato.
- Vittoria del NO: Il datore di lavoro potrà stipulare, rinnovare o prorogare contratti a termine anche senza causali, nei limiti temporali già previsti: 12 mesi senza causale e fino a 24 mesi con motivazione.
Per le aziende:
- Vittoria del SÌ: Ogni stipula del contratto, rinnovo o proroga dovrà essere giustificata con ragioni oggettive provabili. Vi sarà meno flessibilità in ingresso del personale.
- Vittoria del NO: Le esigenze temporanee potranno continuare ad essere soddisfatte con contratti a tempo determinato, seppure con le accortezze di evitare una modalità “ripetuta” del ricorso a tale forma contrattuale.
Quesito n. 5 - Responsabilità solidale negli appalti
Per i lavoratori:
- Vittoria del SÌ: In caso di omesso pagamento della retribuzione, contributi, infortunio da parte del datore di lavoro, sarà possibile rivolgersi sempre al committente.
- Vittoria del NO: Il pagamento delle spettanze da parte del committente sarà comunque limitato a ipotesi specifiche.
Per le aziende (committente):
- Vittoria del SÌ: Il committente dovrà effettuare controlli più stringenti sulle imprese cui appalta opere, per ridurre i rischi di dover pagare in solido per inadempienze altrui.
- Vittoria del NO: La responsabilità solidale è limitata, ma non del tutto esclusa.
Considerazioni finali
I quesiti qui esaminati certamente possono erigere il diritto al lavoro come quel baluardo che la stessa Costituzione richiama all’art. 1 (L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro).
Tuttavia, tornare ad un’estrema rigidità dell’impianto rischia di compromettere e minare alla produttività aziendale, che in questi ultimi anni ha sentito il peso del Covid-19, dell’inflazione, del decentramento verso i mercati esteri ecc. Inoltre, non tutti i settori e non tutti i territori vivono le stesse dinamiche.
Pur apparendo concreto lo sbilanciamento e la spaccatura che si è creata negli anni, è evidente che l’interesse della collettività e quello della libera iniziativa economica non possono essere risolti con la semplice abrogazione di norme.
Si richiede infatti un importare revisione e ripensamento, nell’ottica di uno sguardo al futuro anche oltre i confini nazionali.