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Comporto e licenziamento: obblighi e limiti per il datore di lavoro

Blog Lavoro
Pubblicato il 20 mag 2025
Comporto e licenziamento: obblighi e limiti per il datore di lavoro

Autore: Avv. Elisa Vecchini

Il tema del superamento del periodo di comporto per malattia del collaboratore/collaboratrice è sempre stato molto dibattuto nelle aule dei Tribunali perché da un lato impone di considerare e tutelare la salute e l’integrità del lavoratore (anche in virtù di quanto sancito dall’art. 32 Cost.) dall’altro lato impone di contemperare questa esigenza con la libertà imprenditoriale (art. 41 Cost.) e con il diritto di poter fruire in maniera costante del personale assunto.

Cos’è il periodo di comporto

Il periodo di comporto, si ricava per definizione indiretta dall’art. 2110 c.c. norma che offre al datore di lavoro in caso di assenza per infortunio/malattia del lavoratore, decorso un periodo stabilito dalla contrattazione collettiva, la possibilità di recedere dal rapporto con il prestatore.

Al contrario, quindi, al lavoratore/lavoratrice è fornito un arco temporale nel quale, indipendentemente da infortunio/malattia, il posto di lavoro deve essere garantivo.

Ciò che rileva è che, al di là dell’unica norma del codice civile appena dedotta, non esiste una disciplina unitaria: la durata e le modalità di calcolo sono affidate alla contrattazione collettiva o, in mancanza, come già accennato all’interpretazione giurisprudenziale.

Apparentemente tutto sembra essere semplice: i giorni di assenza suffragati da certificazione medica sono gli stessi che devono essere sommati per il termine indicato dai CCNL.

Ma.

Ciò che può diventare di difficile controllo per il datore di lavoro è comprendere se e quando la malattia sia riconducibile a condizioni invalidanti o croniche, poiché in tali casi l’applicazione rigida del comporto rischia di trasformarsi in un atto discriminatorio, soprattutto alla luce della Direttiva 2000/78/CE (che individua un quadro generale per la parità di trattamento in materia di occupazione e di condizioni di lavoro).

Quindi in presenza di questo scenario, il datore di lavoro deve verificare la quantità delle assenze e la loro qualità, valutando se siano legate a un handicap e se vi siano margini per un accomodamento ragionevole che posticipi o, eviti del tutto, un licenziamento.

E, facendo tutto ciò, deve ricordare che a norma dell’art. 5 dello Statuto dei Lavoratori (L. 300/70) il datore di lavoro ha il divieto di effettuare personalmente accertamenti sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente.

 

Cosa dicono i Tribunali

È importante, quindi, per comprende come il datore di lavoro si possa tutelare rispetto a dinamiche, come quella della malattia e della disabilità, che sfuggono alla sua diretta valutazione vagliare il contenuto di alcune pronunce dei Tribunali e della Suprema Corte di Cassazione.

In tutte il tema è sempre quello della stretta connessione tra licenziamento, malattia, disabilità, accomodamenti ragionevoli.

Cass. civ., Sez. lavoro, Ordinanza, 07/01/2025, n. 170

L’aspetto più interessante di questa sentenza è la conoscenza della disabilità da parte del datore di lavoro, perché la Corte di Cassazione fa discendere da questa tutta una serie di obblighi:

  • acquisizione informazioni sulla correlazione tra assenze per malattia e disabilità (salvo poi non entrare nel merito di come queste informazioni siano acquisibili senza violare l’art. 5 St. Lav.)
  • individuazione di possibili accorgimenti ragionevoli per evitare il licenziamento, in linea con l'art. 3, comma 3-bis, D.Lgs. n. 216 del 2003.

Tuttavia, questa sentenza stabilisce anche che se il datore di lavoro avvia un tavolo di confronto con il dipendente, quest’ultimo non può opporre un comportamento ostruzionistico ma deve collaborare e rendere possibile la valutazione della propria condizione.

Cassazione Civile, Sez. Lav., 2 maggio 2024, n. 11731

Questa sentenza ha il pregio di spingere maggiormente sull’attivazione datoriale (atta ad evitare la discriminazione indiretta) per rendersi edotto della condizione effettiva del prestatore.

Secondo la Suprema Corte è questa l’unica modalità per approfondire le ragioni delle assenze per malattia eventualmente dipendenti dall'handicap noto, così da superare l’incombente prova su di lui dell'insussistenza della discriminazione.

La sentenza specifica che vi è un rischio tangibile di discriminazione diretta qualora il licenziamento sia intimato per superamento del comporto in presenza di previsioni del CCNL che distinguano periodi di comporto differenziati tra malattie c.d. "ordinarie" e quelle imputabili o riconducibili alle disabilità dei lavoratori.

Tribunale di Rovereto, sentenza n. 44/2023

Il pregio di questa sentenza è che consente di comprendere che l’assenza di previsioni del CCNL che non distinguono il periodo di comporto per lavoratori disabili e non disabili è per sé una condotta discriminatoria. 

Quindi, nel caso di CCNL omissivo della diversificazione, al datore di lavoro è richiesto un impegno maggiore nel confronto con il dipendente, proprio perché il Tribunale considera già discriminatorio e illegittimo che la contrattazione nazionale non abbia valutato le diverse ipotesi.

Tribunale di Milano, sentenza del 02/05/2022

La prospettiva che affronta questa sentenza è ancora differente. Ribadisce infatti che il datore di lavoro prima e il Giudice dopo devono interpretare la disciplina in materia di comporto in una prospettiva di salvaguardia dei lavoratori che, portatori di disabilità, si trovano in una condizione di oggettivo ineliminabile svantaggio.

Il portatore di handicap, infatti, è costretto ad un numero di assenze di gran lunga superiore rispetto al lavoratore non disabile, che, invero, limita le proprie assenze i casi di contingenti patologie che hanno una durata breve o comunque limitata nel tempo.

Ed è per questi ultimi soggetti che il termine di comporto è previsto.

Il portatore di handicap aggiunge, ai normali periodi di malattia che subisce per cause diverse dell’handicap, quelle direttamente collegate a quest'ultimo: ma una parità di trattamento tra lavoratori esige che solo con riferimento alle prime i lavoratori di handicap e tutti gli altri siano sottoposti al limite temporale del comporto.

Quindi, l’azienda, in via preliminare, deve operate una sorta di classificazione della malattia sottoposta dal lavoratore:

  1. Handicap accertato e attribuente i diritti di cui alla L. 104/92
  2. Malattia non invalidante ma di lunga durata che in modo duraturo e cronico “obblighi” il dipendente ad assentarsi spesso dal lavoro
  3. Eventi morbigeni sporadici legati alle condizioni contingenti e potenzialmente sempre differenti tra loro

Fatta questa spartizione solo allora si può sommare o meno l’assenza al periodo di comporto.

Nei casi a. e b. (handicap e malattia di lunga durata), la sommatoria delle assenze dovrebbe essere esclusa per non arrivare a una discriminazione indiretta tra dipendenti senza patologie e quelli con.

Tribunale di Palermo sentenza n. 1078/2022

In ulteriore addendum a quanto sin qui già esposto è rilevante questa pronuncia perché il licenziamento per superamento del comporto avveniva molto dopo il superamento stesso. Il Giudice, qui evidenziava che il giudizio sulla tempestività del recesso non può derivare da un'applicazione rigida di criteri cronologici predeterminati, dovendosi verificare caso per caso le circostanze significative in concreto mediante apposita valutazione di congruità.

In presenza di una malattia invalidante quindi, tra le condotte datoriali di adeguamento della struttura aziendale per le esigenze del disabile (descritti dall’art. 5 della Direttiva di cui sopra) ben può esservi ricondotta anche quella di sperimentazione della concreta possibilità di ripresa del servizio e utilizzabilità della prestazione (art. 4).

Obblighi informativi del datore di lavoro

Nell’incertezza di norme che evidenzino precise regole di condotta del rapporto di lavoro le parti, e nello specifico il datore, dovrà ancorarsi ai canoni doveri di correttezza e buona fede.

Quindi, sebbene la legge non gli imponga di avvisare il lavoratore/lavoratrice dell’approssimarsi della scadenza del termine per il superamento del comporto, molti CCNL hanno riempito la lacuna indicando e specificando espressamente questo onere.

L’avviso al collaboratore/collaboratrice ha una funzione pregnante: metterlo nella condizione di valutare le alternative (utilizzo di ferie, aspettativa non retribuita, prolungare ugualmente la malattia) e di evitare un licenziamento.

Solo ove il CCNL preveda l’obbligo di questa comunicazione e il datore di lavoro lo abbia omesso, il licenziamento sarà viziato all’origine, negli altri casi sarà necessario approfondire il tema.

Di seguito ritengo interessante indicare, allo stato, quali CCNL prevedano l’obbligo:

  • Calzature - Industria - L’art. 58 lett. B specifica: Almeno 1 mese prima della scadenza del periodo di conservazione del posto di lavoro, nei termini di cui al comma che precede, l'azienda provvederà ad informare il lavoratore interessato sulla sua situazione relativa al periodo di comporto.
  • Chimica - Industria - L’art. 31 lett. B specifica: L'impresa su richiesta del lavoratore interessato fornirà annualmente o, comunque in caso di unico evento morboso continuativo, la situazione relativa al periodo di comporto.
  • Alimentari - Industria - L’art. 47 n. 1 specifica: Almeno 24 ore prima che siano superati i limiti di conservazione del posto, il lavoratore a tempo indeterminato, perdurando lo stato di malattia, potrà usufruire, previa richiesta scritta, di un periodo di aspettativa debitamente certificato di durata non superiore a mesi 12 durante il quale non decorrerà retribuzione né si avrà decorrenza di anzianità per alcun istituto. A tal fine la Direzione aziendale, su richiesta del dipendente o dei suoi familiari, fornirà lo stato di attuazione di quanto previsto al comma precedente.
  • Igiene ambientale - L’art. 43 n. 8 specifica: Al raggiungimento dei 250 giorni di calendario di assenza per malattia o infortunio non sul lavoro l'azienda ne dà comunicazione ai dipendenti interessati in occasione della consegna/trasmissione della prima busta paga utile.
  • Enti Locali - L’art. 48 n. 1 specifica: Al fine di fornire la dovuta conoscenza al personale del proprio periodo di comporto maturato, l'Ente provvede, almeno 60 gg prima della scadenza del periodo di comporto di cui al comma 1, a darne comunicazione al singolo dipendente, informando lo stesso che qualora intenda avvalersi della possibilità di cui al comma 3, deve farne formale richiesta.

Accomodamenti ragionevoli

Gli accomodamenti ragionevoli sono obblighi specifici a carico del datore di lavoro nei confronti dei lavoratori con disabilità disciplinati dall’art. 5 della Direttiva 2000/78/CE e dell’art. 3, comma 3-bis, del D.lgs. 216/2003.

Specificatamente sono misure concrete e individualizzate - come la modifica dell’orario, l’assegnazione a mansioni compatibili, o l’adattamento della postazione di lavoro - che devono essere adottate per consentire al lavoratore disabile di accedere al mondo del lavoro, di conservare l’occupazione e di svolgere la prestazione in condizioni di uguaglianza con gli altri.

Quindi al datore di lavoro è richiesto un impegno per questi accomodamenti che, però, non diventino un onere sproporzionato o eccessivo per l’organizzazione datoriale, tenuto conto dei costi, delle risorse dell’impresa e della possibilità di accedere a sovvenzioni pubbliche.

Policy aziendali

Alla luce di quanto espresso queste alcune policy che l’azienda può adottare per non incorrere nel rischio di adottare non solo provvedimenti espulsivi illegittimi e nulli ma anche posizioni che possano essere considerate discriminatorie:

  • Monitorare costantemente le assenze per malattia dei dipendenti e, in particolare, quelle di coloro che hanno accesso ai benefici ex L. 104/92.
  • Comunicare tempestive ai lavoratori l’imminente scadenza del periodo di comporto (magari 30 giorni prima).
  • Valutare individualmente le situazioni di disabilità anche con un confronto diretto con il lavoratore/lavoratrice
  • Adottare, dopo il confronto con il prestatore e/o con il medico del lavoro, gli accomodamenti ragionevoli per i lavoratori disabili.

Considerazioni conclusive

A parere di chi scrive, quindi, appare evidente come tutto il tema del periodo di comporto sia in continua evoluzione e che nonostante le parziali indicazioni della giurisprudenza, ancora oggi, i datori di lavoro si trovino a dover fronteggiare situazioni di malattia che difficilmente possono condurre a situazioni univoche.

Se, infatti, il datore di lavoro non può conoscere la tipologia dell’assenza, e quindi il riferimento alla malattia invalidante, per ovvi motivi di segretezza della refertazione (non è previsto per il lavoratore alcun obbligo specifico di indicazione della riferibilità alla malattia dal conteggio del comporto), deve dedurre le malattie riconducibili all’handicap a posteriori e quindi dopo licenziamento per superamento del comporto.

Tuttavia, sempre di più anche il lavoratore, utilizzando strumenti flessibili del certificato medico, può farsi parte attiva per aiutare il datore di lavoro (visto che lo scopo dovrebbe essere proprio quello del mantenimento dell’occupazione).

Diversamente appare evidente come vi sia per il datore di lavoro un rischio insito in ogni superamento del comporto, di pronuncia di nullità del licenziamento con tutte le conseguenze economiche.

Come spesso accade nelle vicende che riguardano i rapporti di lavoro una maggiore collaborazione tra le parti costituisce la base per l’effettiva soddisfazione di tutti gli interessi in gioco.

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