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La copia forense di prove digitali

L'acquisizione forense: da WhatsApp sul cellulare alle pagine web sul computer

Il processo civile telematico ha rivoluzionato il processo civile tradizionale, imponendo alle parti la produzione di contenuti digitali, quali e-mail, PEC, fotografie, registrazioni audio o video, che possano costituire mezzi di prova idonei ad assolvere proficuamente l'onere gravante sulle parti nel corso di un giudizio. Allo stesso modo, accade frequentemente che, per la prova di un fatto storico, le parti ricorrano all'allegazione di circostanze risultanti da siti web, social network o applicazioni di messaggistica istantanea.

Si sono dunque rese necessarie regole precise in materia di individuazione, acquisizione e conservazione delle prove digitali e web, funzionali ad assicurarne l'integrità, la genuinità e la sicurezza, e, dunque, l'idoneità ad essere riconosciute come prove legali.

Nel nostro ordinamento vige infatti il principio generale della libera valutazione della prova da parte del giudice, codificato all'art. 116 c.p.c., in base al quale il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento, “salvo che la legge disponga altrimenti”. Tale ultimo periodo si riferisce proprio alle c.d. “prove legali” – che si distinguono da quelle “libere” – la cui efficacia probatoria non può essere oggetto di libera valutazione da parte dal giudice, ma è invece determinata a priori dalla legge.

Si pensi, ad esempio, all'atto pubblico, che, secondo quanto previsto dall'art. 2700 c.c., fa piena prova fino a querela di falso della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonchè delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti.

Con riferimento alle prove digitali, il Codice dell'Amministrazione Digitale (di seguito, “CAD”) definisce “documento informatico” il “documento elettronico che contiene la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”. Nessun dubbio, dunque, che e-mail, fotografie e altri contenuti digitali citati, laddove contengano “atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti”, possano costituire documento informatico idoneo ad essere introdotto nel processo.

Il CAD ha peraltro previsto alcuni principi generali in materia di efficacia probatoria dei documenti informatici. Tra i più rilevanti, sicuramente l'art. 20, secondo cui il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta e ha l'efficacia prevista dall'art. 2702 c.c. quando vi è apposta una firma digitale, altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata o, comunque, è formato, previa identificazione informatica del suo autore, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall'AgID ai sensi dell'art. 71 CAD con “modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento e, in maniera manifesta e inequivoca, la sua riconducibilità all'autore”.

In tutti gli altri casi, prosegue l'art. 20, “l'idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta e il suo valore probatorio sono liberamente valutabili in giudizio, in relazione alle caratteristiche di sicurezza, integrità e immodificabilità”. Evidente il richiamo al citato primo comma dell'art. 116 c.c.

Sono infatti numerose le pronunce che negano efficacia probatoria a documenti informatici in ragione delle loro caratteristiche e modalità di acquisizione e conservazione (tra le molte, si cita la Cassazione Civile, Sez. Lav., n. 3912/2019).

Si pensi, ad esempio, alla produzione in giudizio di messaggi di posta elettronica non certificata, talvolta riportati persino su supporto cartaceo (detto altrimenti, la produzione della scansione della stampa dell'e-mail, nella prassi ancora assai diffusa).

In proposito, l'art. 2712 c.c. prevede che le riproduzioni fotografiche, informatiche, cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose “formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime.

Il disconoscimento, dunque, priva di efficacia probatoria la riproduzione fotografica, l'audio e, tornando all'esempio di cui sopra, lo stesso messaggio di posta elettronica non certificata. La riproduzione disconosciuta diviene così inutilizzabile e priva di alcuna efficacia probatoria.

La stessa Corte di Cassazione si è spesso pronunciata in proposito, evidenziando come “la copia informatica di un'e-mail semplice è un file facilmente alterabile. I messaggi di posta elettronica hanno un'alta probabilità astratta di alterazione, non trattandosi di corrispondenza elettronica certificata o sottoscritta con firma digitale che garantisce l'identificabilità dell'autore e la sua integrità ed immodificabilità”. O ancora, “L'e-mail tradizionale può soddisfare il requisito della forma scritta quando, se non contestata o non disconosciuta, è in grado di garantire “caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità”. (Cassazione Civile, Sez. Lav., n. 5523/2018).

Evidente, a questo punto, la necessità di individuare specifiche regole tecniche per la produzione di quella che è definita la “copia forense”, idonea a superare le citate criticità ed essere introdotta nel giudizio alla stregua di prova legale.

In proposito, la legge n. 48/2008, che ha ratificato e dato esecuzione alla Convezione di Budapest del Consiglio d'Europa sulla criminalità informatica, del 23 novembre 2001, prescrive che la copia forense deve avere impatto minimo, se non nullo, sulla fonte originale dei dati, e le attività di copia forense devono essere svolte “adottando misure tecniche dirette ad assicurare la conservazione dei dati originali e ad impedirne l'alterazione.

Le fonti citate hanno dunque introdotto nel nostro ordinamento il concetto di prova forense e, più in generale, il ricorso a criteri standard e best practice per ottenere la copia forense della prova informatica.

Cosa significa copia forense? Per “copia forense” si intende dunque la copia “bit per bit” dei dati digitali presenti in un dispositivo di memorizzazione di dati digitali verso un altro dispositivo di memorizzazione, in modo tale che possano essere prodotti correttamente e integralmente in un procedimento, con l'intento di consentire a tutte le parti coinvolte di verificare l'attendibilità dei dati ed evitare il disconoscimento di prove informatiche (come nel citato esempio del messaggio di posta elettronica).

Se tale operazione è fondamentale per i dati digitali archiviati su dispositivi informatici, si rende a maggior ragione necessaria per l'acquisizione di dati presenti sul web, che possono agevolmente essere alterati o cancellati. È peraltro evidente, in proposito, come la mera scansione, c.d. screenshot, della pagina web non possa in alcun modo garantire la genuinità dell'acquisizione e si presenti inidonea a provarne il contenuto.

In questo senso, un ruolo centrale è rivestito dallo standard internazionale ISO/IEC 27037:2012 (“Information technology - Security techniques - Guidelines for identification, collection, acquisition and preservation of digital evidence”), che contiene le linee guida per l'identificazione, la raccolta, l'acquisizione, la conservazione e il trasporto di evidenze digitali.

Identificazione della prova forense

Tra le varie fasi del processo di copia della prova forense individuate dallo standard ISO, la prima è rappresentata dalla identificazione”, ovverosia il processo che consiste nella ricerca e nel riconoscimento di potenziali prove digitali. In tale fase è dunque compresa la ricerca del dispositivo fisico che potrebbe contenere dati di interesse, come uno smartphone, un pc o un tablet, ma anche l'individuazione di un sito web contenente una determinata informazione o un cloud.

Raccolta e acquisizione della prova forense

Per raccolta” si intende invece il processo che comporta il prelievo del supporto informatico contenente i dati di interesse. La fase dell'“acquisizione, invece, rappresenta il cuore dell'operazione, nella quale si procede all'esecuzione della copia forense, in maniera integra e completa, al fine di generare un duplicato dei dati informatici da produrre in giudizio.

Conservazione della prova forense

La “conservazione” rappresenta, infine, la fase nella quale occorre proteggere la riservatezza e l'integrità dei supporti informatici e dei dati digitali raccolti e acquisiti. Si tratta, in sostanza, del processo che permette alla parte di dimostrare che la prova digitale raccolta è rimasta integra e immutata dal momento in cui è stata acquisita a quello in cui è effettivamente prodotta in giudizio. Lo standard ISO disciplina, inoltre, la fase del c.d. “trasporto” della prova, strettamente legata al processo di conservazione.

Per ogni fase vengono inoltre indicate le best practices riconosciute, per permettere che la potenziale prova possa essere utilizzata efficacemente in sede processuale, tenendo conto delle possibili (e più comuni) situazioni che l'investigatore può trovarsi a dover affrontare.

Alla base della gestione delle prove digitali, lo standard ISO introduce inoltre alcuni principi di carattere generale:
  1. la verificabilità, ovverosia la necessità di documentare tutte le attività svolte per la raccolta della prova, per consentire ad un consulente tecnico di ripercorrere e verificare le tecniche e procedure eseguite;
  2. la ripetibilità, nel senso che le operazioni devono sempre essere ripetibili utilizzando le stesse procedure, lo stesso metodo, gli stessi strumenti, sotto le stesse condizioni;
  3. la riproducibilità, nel senso che le operazioni possono essere “ripetibili” anche usando lo stesso metodo ma strumenti diversi e sotto condizioni diverse;
  4. la giustificabilità, ovvero la dimostrazione che le decisioni prese sono state le migliori per ottenere tutte le potenziali prove digitali;
  5. la pertinenza, ovverosia la dimostrazione che il materiale acquisito è effettivamente rilevante, che contiene dati utili per il processo ed esisteva una buona ragione per acquisirlo;
  6. l'affidabilità, serve inoltre a garantire la “genuitità” della prova, nel senso che tutti i processi eseguiti devono essere ben documentati e ripetibili;
  7. la sufficienza, attiene alla raccolta di tutto il materiale informatico necessario, valutato in base al caso e alle limitazioni di carattere giuridico.
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Come per ogni altra fonte di prova, anche i contenuti informatici, per poter essere correttamente introdotti nel processo e superare così il vaglio di ammissibilità, soggiacciono alle norme procedurali specificamente previste per i giudizi civili e penali.

Per quanto attiene il processo civili, il principio di tipicità previsto dalle norme contenute nel codice di procedura (libro III, sezione III) è da combinarsi col disposto degli artt. 2712 e 2719 cc. Secondo l'orientamento prevalente espresso dalla Corte di Cassazione, i documenti elettronici contenenti la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti sono considerate ‘riproduzioni informatiche’ e ‘rappresentazioni meccaniche’ e, di conseguenza, formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, a meno che non ne sia disconosciuta la conformità ai medesimi fatti e cose.

Nel processo penale sopperisce l'art. 189 cpp., che permette al giudice di ammettere e valutare liberamente anche le prove non disciplinate dalla legge, in tanto ed in quanto esse siano idonee ad assicurare l'accertamento dei fatti e non pregiudichino la liberà morale delle persone. In ogni caso anche le prove web rientrano fra quelle documentali ai sensi dell'art. 234 cpp., e con la Legge 48/2008 sono state altresì previste norme specifiche per l'acquisizione della digital evidence in relazione ai reati informatici e cyber crimes.

Il Codice dell'Amministrazione Digitale prevede, all'art. 20, co. 1-bis, che il Giudice possa valutare l'idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta ed il suo valore probatorio sulla base delle seguenti caratteristiche oggettive: qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità.

Nell'introduzione in giudizio delle prove web occorrerà pertanto prestare attenzione al rispetto delle specifiche tecniche richiamate dall'art. 71 del C.A.D. e contenute nella versione attualmente in vigore del D.P.C.M. del 13 novembre 2014.

Utilizzando appositi strumenti software che consentano di formare l'evidenza informatica in accordo a tali requisiti, essa potrà quindi essere prodotta in giudizio nei seguenti formati:
  • testuali / documentali (ad es.: doc/.docx, .htm/.html, .pdf, .txt);
  • messaggistica / e-mail (ad es.: .eml, .mime, .smtp);
  • calcolativi (ad es.: .xls );
  • compressi / archiviati (ad es.: .rar, .zip);
  • eseguibili (ad es.: .dmg, .exe);
  • fonetici / audio, suoni (ad es.: .mp3, .wav);
  • visuali / video (ad es.: .avi, .mov, .mpg /.mpeg, .wmv);
  • visivi / fotografie, immagini (ad es.: .bmp, .eps, .gif, .jpg /.jpeg, .png, .svg, .tiff).

Una volta così elaborati, il deposito di tali files potrà avvenire secondo i metodi ordinari del processo telematico, ovvero, se le loro cospicue dimensioni non ne consentono il caricamento sulle piattaforme dedicate o la spedizione in allegato alla busta telematica, mediante apposito supporto informatico (ad es.: cd, dvd o chiavetta pendrive USB), preferibilmente cifrato o comunque protetto in modo da evitare l'alterazione di quanto contenuto.
In previsione dell’approvazione delle nuove Specifiche Tecniche, al momento in bozza pubblicata in data 4 gennaio 2024, si consiglia di verificare la congruenza dei formati risultanti dalle suddette operazioni con quelli ammessi dal Ministero.

Col termine onlife si suole indicare l'intero complesso delle attività umane condotte negli spazi virtuali delle reti informatiche, principalmente internet.

Essendo tali attività, ad eccezione di quelle eseguite esclusivamente da chatbots ed altre intelligenze artificiali, riconducibili ad una o più persona fisica, tutto quanto viene esplicato sul web ricade nell'alveo della capacità giuridica e di agire dell'essere umano, e come tale responsabile, imputabile e/o perseguibile ai sensi delle norme civili e penali.

Di conseguenza, la prova della realtà storica per atti, fatti o comportamenti che interessino un giudizio può, o financo deve, essere ricercata nell'ambiente virtuale dove gli stessi atti, fatti o comportamenti sono stati realizzati.

Sebbene, quindi, la copia forense delle pagine web possa, in astratto, interessare ogni processo condotto nel ventunesimo secolo, vi sono particolari casistiche dove questo mezzo di prova assume una rilevanza cardinale e dirimente:
Violazione di account su social networks quali Facebook, Instagram, Google, LinkedIn, Microsoft…: l'accesso abusivo (non autorizzato) al proprio profilo è un reato penalmente perseguibile ai sensi dell'art. 615-ter cp., e può altresì esporre la vittima ad ulteriori conseguenze qualora l'hacker compia illeciti a danni di terzi ‘sotto falso nome’.
Certificazione della permanenza online di un contenuto web: ogniqualvolta risulti necessario determinare esattamente il momento specifico o la scansione temporale di pubblicazione di un dato, fissando così il cd. tempus giuridico, è necessario apporre una corretta marcatura temporale alla pagina web; questo aspetto si rivela tutt’altro che trascurabile in considerazione dell'estrema facilità con cui è possibile rimuovere o variare i contenuti web, nonchè della fluidità e mutevolezza intrinseche ai feed dei vari social networks.
Certificazione della violazione del diritto d'autore e copyright: anche in questo caso, poichè la stragrande maggioranza dei contenuti web possono essere agevolmente riprodotti ad infinitum, è opportuno ricorrere a copie forensi di contenuti informatici in grado di far emergere correttamente i requisiti di originalità ed anteriorità previsti dalle norme a tutela della proprietà intellettuale, ovvero di poter identificare le condotte distorsive della concorrenza poste in essere nei mercati di e-commerce.
Furto d'identità: la sottrazione dell'identità digitale di una persona fisica, così come la creazione di fake account utilizzando generalità altrui, integra la fattispecie del reato di sostituzione di persona previsto dall'art. 494 cp.
Immagine rappresentativa del servizio di acquisizione di prove digitali
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L’utilizzo del software non comporta la sottoscrizione di un abbonamento ma si possono acquistare, sulla base delle proprie necessità, diversi pacchetti costituiti da crediti che corrispondono a minuti di navigazione forense.

Un credito equivale a 5 minuti di navigazione forense, a scatti anticipati.
Si possono utilizzare più crediti in una singola sessione, sino al raggiungimento di un tetto massimo di 18 crediti ovvero pari ad un’acquisizione della durata totale di 90 minuti.

Ambiti di applicazione dell’acquisizione forense:
  • Applicazioni legate alle persone
  • Applicazioni legate alle aziende

Come anticipato, l'esigenza di introdurre nel processo mezzi di prova digitali (e-mail, fotografie, registrazioni audio o video, pagine web) ha reso necessaria l'adozione di regole precise in materia di individuazione, acquisizione e conservazione delle evidenze digitali e web, funzionali ad assicurarne l'integrità, la genuinità e la sicurezza, e, dunque, l'idoneità ad essere riconosciute come prove legali.

Sempre più frequentemente, infatti, la giurisprudenza, anche di legittimità, ha negato efficacia probatoria a documenti informatici prodotti dalle parti in ragione delle loro caratteristiche e modalità di acquisizione e conservazione, ribadendo che il valore di prova legale del supporto informatico deve essere subordinato e garantito dal rispetto di precise regole tecniche.

In tema di “prova forense”, si è già avuto occasione di sottolineare il ruolo centrale rivestito dallo standard internazionale ISO/IEC 27037:2012 (“Information technology - Security techniques - Guidelines for identification, collection, acquisition and preservation of digital evidence”), che contiene le linee guida per l'identificazione, la raccolta, l'acquisizione, la conservazione e il trasporto di evidenze digitali.

Al citato standard ISO si affiancano inoltre numerose ulteriori linee guida internazionali rilasciate, ad esempio, dal National Institute of Standards and Technology (NIST) o dal Scientific Working Group on Digital Evidence (SWGDE), che contengono le c.d. best practices da seguire nella prassi forense per l'acquisizione di una prova che possa essere introdotta proficuamente nel processo.

Il rispetto di tali metodologie consente dunque alla parte di acquisire documenti digitali, come e-mail, chat, articoli, fotografie o video estratti dal web, e di produrli nel giudizio alla stregua di prove legali. Allo stesso tempo, la circostanza che la prova venga acquisita secondo i principi di “verificabilità” e “ripetibilità”, documentando tutte le attività svolte per la raccolta della prova, consentirà a ciascuna delle altre parti (e ai propri consulenti) di verificare l'attendibilità dei dati così acquisiti ed evitare il disconoscimento di prove informatiche.

L'autenticazione della prova rappresenta pertanto l'esito del procedimento tecnico di raccolta dell'evidenza digitale secondo i criteri individuati dalle best practice internazionali, affinchè si possa all'esito conferire valore legale al documento informatico destinato ad essere prodotto in giudizio.

Il software di copia forense messo a disposizione da OPEN consente di estrarre e conferire valore legale a qualsiasi pagina web disponibile su internet ed accessibile da dispositivi fissi (PC e Mac) o mobili (smartphone e tablet), nonchè a qualsiasi contenuto digitale ivi presente sotto forma di files testuali o multimediali.

Lo stesso vale per i feed ed i profili degli utenti presenti sui social networks, potendosi in questi casi attingere ai dati visualizzabili non solo tramite browser, ma anche direttamente tramite la relativa app legata allo specifico canale, ad es. Facebook, Instagram, Telegram, Tiktok, WhatsApp o X (ex Twitter).

Anche la corrispondenza inviata e ricevuta via e-mail può essere autenticata, ed anzi ciò si rivela fondamentale per la sua rilevanza probatoria, tenuto conto che i messaggi scambiati con l'ordinaria posta elettronica sono, a tutti gli effetti di legge, privi delle garanzie che l'ordinamento italiano attribuisce invece alle missive di posta elettronica certificata (PEC).

Vediamo ora di seguito e più nel dettaglio le diverse tipologie di contenuti reperibili su internet ed i casi giudiziari in cui essi sono abitualmente introdotti come prove nei relativi processi:
  • copia autentica, su un social network, di un post e dei suoi commenti: tali prove sono usualmente associate ai reati di diffamazione (art. 595 cp.) e minaccia (art. 612 cp.), ma anche all'illecito civile dell'ingiuria, originariamente previsto come reato dall'art. 594 cp. ed attualmente depenalizzato dal D.lgs. 7/2016. La pubblicazione di tali manifestazioni di hate speech (lett. ‘discorsi d'odio’) sui social può costituire un'aggravante alla fattispecie criminosa contestata, in quanto potenzialmente visualizzabili da un numero indeterminato di persone componenti la vasta schiera degli utenti;
  • copia autentica di un'e-mail: la certificazione legale dei messaggi e-mail si presta, di per sè, ad un'eterogeneità di utilizzi dipendenti dal profluvio di corrispondenza elettronica generata quotidianamente. Risulta però specificamente essenziale per tutelarsi o rimediare alle conseguenze di danni provocati da tentativi di phishing o altre truffe informatiche, mediante le quali vengono inavvertitamente captati da terzi malintenzionati dati ed informazioni di carattere sensibile o patrimoniale;
  • copia autentica dei messaggi di una chat: anche i messaggi privati scambiati tramite Facebook Messenger, Telegram o WhatsApp possono essere certificati, ed assumono rilevanza giuridica ogniqualvolta occorra provare quanto ivi dichiarato in forma scritta, nonchè la provenienza di tali dichiarazioni da uno specifico soggetto;
  • copia autentica di un articolo o altra pagina web: oltre a casi di natura personale, la legalizzazione dei contenuti pubblicati su siti internet veri e propri ricorre frequentemente in contenziosi civili concernenti la tutela dei diritti di proprietà intellettuale e della concorrenza leale, nonchè a garanzia dei consumatori. Non mancano poi casi di vere e proprie truffe seriali perpetrate tramite ‘inserzioni civetta’ su siti di e-commerce promuoventi la vendita, solitamente a prezzi stracciati, di prodotti inesistenti o che non vengono poi consegnati agli acquirenti;
  • copia autentica di una foto: la pubblicazione di una qualsiasi immagine senza il consenso dell'avente diritto integra un utilizzo illecito della stessa, punibile sia penalmente, sia in sede civile con relativa richiesta di risarcimento danni. l'attribuzione, la diffusione e la pubblicazione su internet da parte di terzi di una foto riferibile specificamente ad un singolo individuo può costituire anche il reato di sostituzione di persona di cui all'art. 494 cp.;
  • copia autentica di un video: oltre ai casi già esaminati, le prove forensi sui file audiovisivi si rinvengono assiduamente nei procedimenti per reati di revenge porn, perpetrati, secondo la definizione proposta dall'Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali, tramite “l'invio, consegna, cessione, pubblicazione o diffusione, da parte di chi li ha realizzati o sottratti e senza il consenso della persona cui si riferiscono, di immagini o video a contenuto sessualmente esplicito destinati a rimanere privati”, per scopi vendicativi o punitivi, di bullismo o molestie;
  • copia autentica di un file: in quest’ultima categoria residuale, che in realtà, da un punto di vista squisitamente tecnico, comprende tutte le precedenti, ricade ogni altra tipologia di utilizzo di un dato informatico in ambito giudiziario. Si noti che tramite i più avanzati software di copia forense è possibile corredare ogni contenuto testuale o multimediale di tutti i files ad esso riferibili (cd. ‘metadati’), che dispongono di tutte le specifiche proprietà per poter correttamente identificare i contenuti stessi.

Da ultimo, si ricordi che quanto sopra accennato costituisce un mero elenco di carattere esemplificativo, senz’alcuna pretesta di esaustività, e così ordinato per motivi di maggiore chiarezza.

Come i fatti di vita reale, anche i contenuti disponibili online che trovano ingresso nelle aule giudiziaria si prestano ad una molteplicità variabile e mutevole, e solitamente, per poter sostanziare adeguatamente il proprio impianto probatorio, risulta necessario ricorrere ad una pluralità di tipologie, tra estratti di conversazioni di messaggistica istantanea, scambi di e-mail, commenti o ‘stati’ su social network, tracce audio o filmati condivisi su pagine pubbliche o tramite profili privati.

Tipologie di contenuti acquisibili come copie forensi di prove digitali Tipologie di contenuti acquisibili come copie forensi di prove digitali

La produzione in giudizio di prove estratte dal web può esporre la parte ad eccezioni avversarie, prima fra tutte il c.d. disconoscimento.

L’art. 2712 c.c. prevede infatti che le riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche, le registrazioni fonografiche e, in genere, ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose “formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”.

Ancorché la norma faccia specifica menzione delle sole “riproduzioni fotografiche, informatiche o cinematografiche e delle registrazioni fonografiche”, il successivo riferimento “in genere” ad “ogni altra rappresentazione meccanica di fatti e di cose” consente di attribuire alla disposizione in oggetto il carattere di “clausola generale”, ovvero di norma di chiusura all'interno della sezione dedicata alla prova documentale. Dottrina e giurisprudenza sono pertanto concordi nel ritenere che tale disposizione si applichi a qualunque “nuovo” strumento di riproduzione che la scienza e la tecnologia possano offrire. La prova web si colloca pertanto sicuramente all’interno di tale previsione.

L'efficacia probatoria delle “riproduzioni” viene dunque descritta nel senso che esse formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime. Il disconoscimento, dunque, priva di efficacia probatoria la riproduzione fotografica, l’audio, il messaggio di posta elettronica o il file estratto dal web, con la conseguenza di renderlo inutilizzabile.

La Corte di Cassazione è peraltro recentemente intervenuta sul tema, chiarendo che il disconoscimento di una riproduzione fotografica o video non produce gli stessi effetti del disconoscimento previsto dall'art. 215, secondo comma, c.p.c., in materia di scritture private , perché mentre questo, in mancanza di richiesta di verificazione e di esito positivo della stessa, preclude l'utilizzazione della scrittura, il primo non impedisce che il giudice possa accertare la conformità all'originale anche attraverso altri mezzi di prova, comprese le presunzioni.

In altre parole, diversamente dal disconoscimento della scrittura privata, che impone alla parte che intenda utilizzare il documento l’onere di introdurre il procedimento di verificazione, con tutte le conseguenze che ne derivano, il disconoscimento ai sensi dell’art. 2712 c.c. non impedisce al Giudice di accertare comunque la conformità del documento attraverso altri mezzi di prova. Ciò significa che la conformità all’originale di una fotografia, di un filmato o di un file estratto dal web potrebbe essere avvalorato, ad esempio, da una consulenza tecnica, da una testimonianza o da una confessione.

In ogni caso, è evidente come il disconoscimento di un documento informatico o di una qualunque altra riproduzione estratta dal web , per quanto non sempre idoneo ad escludere l’utilizzabilità in giudizio della prova, possa sicuramente rallentare l’accertamento della verità, imponendo al giudice ulteriori verifiche e riscontri.

In un quadro così delineato, un primo accorgimento funzionale a garantire l’utilizzabilità delle prove web in giudizio e a superare l’ostacolo del disconoscimento è sicuramente rappresentato dalla già citata possibilità di affiancare all’evidenza digitale un altro mezzo di prova , come un altro documento, una prova testimoniale o una perizia. Si tratta di un principio ormai pacifico in giurisprudenza e la stessa Cassazione ha riconosciuto efficacia probatoria a riproduzioni informatiche disconosciute facendo ricorso alle sole presunzioni semplici.

In ogni caso, sicuramente più efficace è il ricorso alla prova web autenticata , dunque estratta secondo i criteri individuati dalle c.d. best practice nazionali e internazionali cui si è fatto cenno nei precedenti paragrafi, che consente di introdurre nel giudizio il documento digitale alla stregua di una prova legale .

Nel nostro ordinamento vige il principio generale di disponibilità delle prove , codificato all’art. 115 c.p.c., in forza del quale il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti non specificatamente contestati dalla parte costituita. Spetta dunque alle parti il compito di indicare gli elementi di prova utili ai fini della decisione e al giudice di attingere unicamente agli elementi introdotti dalle parti stesse, salva la possibilità di porre a fondamento della decisione nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza.

Le parti possono pertanto fare ricorso a molteplici mezzi di prova, la cui portata è specificamente individuata dalla legge. Il già citato art. 116 c.p.c. prevede infatti che il giudice deve valutare le prove secondo il suo prudente apprezzamento,“salvo che la legge disponga altrimenti”. Tale ultimo periodo si riferisce alle prove “legali”, la cui efficacia probatoria è appunto predeterminata dalla legge. Si pensi alla confessione giudiziale, che forma piena prova contro colui che l'ha fatta, purché non verta su fatti relativi a diritti non disponibili, o al giuramento decisorio, che determina la soccombenza della parte che si rifiuti di prestarlo o di riferirlo all’avversario.

Tra le prove documentali principe troviamo sicuramente l’atto pubblico, che fa piena prova fino a querela di falso della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti. Vi è poi la scrittura privata, che fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritta, se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce la sottoscrizione, ovvero se questa è legalmente considerata come riconosciuta.

Come anticipato in premessa, le prove web si collocano tra le “riproduzioni” che “formano piena prova dei fatti e delle cose rappresentate, se colui contro il quale sono prodotte non ne disconosce la conformità ai fatti o alle cose medesime”. In questa categoria rientrano, a ben vedere, la maggior parte delle prove “precostituite” che normalmente, specie con l’avvento del processo telematico, vengono oggi introdotte nel giudizio. È infatti all’ordine del giorno la produzione di fotografie, filmati, sms, messaggi di posta elettronica non certificata, messaggi di applicazioni come WhatsApp, screenshot di pagine web.

Come analizzato nei precedenti paragrafi, a differenza delle prove legali, le riproduzioni di cui all’art. 2712 c.c. possono incontrare il limite del disconoscimento , con le conseguenze di cui si è a lungo parlato. Emerge dunque nuovamente la necessità di fare ricorso a strumenti che possano ridurre le occasioni di “contenzioso sulla prova” e possano offrire al giudice evidenze digitali di certa e verificabile provenienza , per essere utilizzate alla stregua delle citate prove legali.

Ha valore legale uno screenshot?

Nell'uso comune il termine screenshot indica una rappresentazione statica di ciò che, in un determinato istante, viene visualizzato su uno schermo di computer, smartphone, tablet o altro dispositivo elettronico. Può essere realizzato catturando l'immagine dell'intero schermo o di una sua parte specifica, come una finestra o un'applicazione in uso. Lo screenshot è spesso impiegato per catturare informazioni visive o visivamente rilevanti, come immagini, testo, grafici o errori sullo schermo, allo scopo di conservarle, condividerle o utilizzarle per riferimento futuro.

La creazione di uno screenshot varia a seconda del dispositivo e del sistema operativo utilizzati, ma di solito impiega una combinazione di tasti o un'applicazione dedicata. Una volta catturata l'immagine dello schermo, essa può essere salvata come un file di immagine (solitamente in formato PNG, JPEG o altro) e condivisa o utilizzata secondo le esigenze dell'utente.

Dal punto di vista giuridico, generalmente gli screenshot non dispongono in sè e per sè di alcun valore legale. Essi ricadono nel più ampio genus dei ‘documenti informatici’, che il Codice dell'Amministrazione Digitale come quei documenti elettronici contenenti la rappresentazione informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti.

Nell'ambito del processo civile, i più recenti orientamenti espressi dalla Suprema Corte di Cassazione comprendono gli screenshot tra le riproduzioni meccaniche contemplate dall'art. 2712 cc., che possono costituire piena prova dei fatti e delle cose rappresentate solo se la controparte non li disconosce, contestandone la veridicità.

Pertanto, lo screenshot può effettivamente essere impiegato come prova atipica nell'ambito di un procedimento giudiziario, a condizione che venga ritualmente prodotto e possieda quei determinati requisiti, in ordine sia ai criteri della sua acquisizione e sia alle sue caratteristiche oggettive, in grado di superare il vaglio di ammissibilità del giudice e le eccezioni rilevabili dalle controparti.

Oltre a quanto considerato nell'incipit della presente guida, si raccomanda attenzione ai seguenti ulteriori parametri di massima:
  • autenticità: per essere accettato come prova in tribunale, uno screenshot dev’essere autentico, ovvero corredato da un adeguato supporto atto a dimostrare che non sia stato manipolato o alterato in alcun modo.
  • contesto: è importante che lo screenshot venga presentato nel giusto contesto, avendo cura di chiarire che cosa rappresenti e quale sia la sua rilevanza per l'oggetto del contendere.
  • catena di custodia: è fondamentale documentare la catena di custodia dello screenshot per dimostrarne l'integrità e l'autenticità, in modo da poter tracciare e risalire a chi, quando e come sia stato ottenuto e conservato.
  • consulenza: prima di procedere è sempre opportuno comprendere appieno come uno screenshot possa essere utilizzato in un determinato contesto legale, avvalendosi di professionisti e software che assicurino l'efficacia di una tale produzione.

È possibile produrre da sé la prova legale di una pagina web?

Per ‘pagina web’ comunemente s’intende un documento o un file digitale composto principalmente di contenuti testuali, grafici, multimediali o interattivi, progettato per essere visualizzato su un browser web attraverso Internet o una rete locale.

Questi documenti sono scritti utilizzando linguaggi di marcatura come HTML (Hypertext Markup Language) e possono includere testo formattato, immagini, collegamenti ipertestuali, video, audio, moduli di input ed altro ancora. Le pagine web costituiscono il fondamento di Internet, consentendo agli utenti di accedere ad informazioni, servizi, risorse ed applicazioni online attraverso l'indirizzo web unico associato a ciascuna pagina, definito URL (Uniform Resource Locator). Esse possono essere statiche, con contenuti che non cambiano spesso, o dinamiche, con contenuti generati in tempo reale o personalizzati in base alle interazioni degli utenti, come quelle visualizzabili sulle piattaforme dei vari social networks.

I contenuti visualizzati dagli utenti di una pagina web possono essere catturati tramite la tecnica dello screenshot illustrata in precedenza, e conseguentemente soggiacciono alle regole in tema di ammissibilità in giudizio poc’anzi evidenziate.

Tuttavia, nell’attuale sistema della rete Internet la stragrande maggioranza delle pagine web non si limitano a riprodurre meri dati testuali , ma sono invece composte da una pluralità di dati aggregati ed informazioni multimediali di vario genere, alcuni dei quali nemmeno visivamente percepibili. Si pensi, per esempio, ai cookies, quei piccoli files utilizzati per registrare le visite ad una data pagina, influenzando l’esperienza di navigazione degli utenti.

Conseguentemente, la produzione in giudizio della mera istantanea di una pagina web rischia di comprometterne l’efficacia probatoria , poiché, limitandosi ad un contenuto necessariamente parziale e financo alterato dalla trasformazione in file d’immagine, non ne rispetterebbe i requisiti di autenticità ed integrità.

Pertanto, sarebbe auspicabile introdurre nel processo la pagina web nella sua interezza , producendo cioè integralmente tutti i files da cui è composta tramite un valido processo di copia forense.