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Come rinegoziare i contratti di lavoro dopo una riorganizzazione aziendale

Blog LavoroModello organizzativo 231
Pubblicato il 25 lug 2025

Autore: Elisa Vecchini
Come rinegoziare i contratti di lavoro dopo una riorganizzazione aziendale

Se il mondo si trasforma, il lavoro necessita un cambiamento. Per questo il sistema lavoristico italiano spesso non tiene il passo di un’evoluzione riorganizzativa delle aziende in continuo mutamento. Ecco perché, quindi, capire come sia possibile, anche in questo contesto “stagnante”, può diventare un punto di forza per aziende (e anche lavoratori) che guardano al futuro.

Fino a che punto si può rinegoziare le condizioni contrattuali individuali dei propri dipendenti?

Tutela dell’organizzazione d’impresa, tutela dei diritti dei lavoratori come possono trovare punti di contatto? Lo scopo di questo breve accenno è quello di partire dalla normativa per valutarne confini e margini di manovra.

Quando e come è possibile modificare le mansioni secondo l’art. 2103 c.c. e il Jobs Act

L’art. 2103 c.c. è sempre stato il fulcro e il “faro” per il comprendere i limiti delle mansioni assegnate ai dipendenti e degli accordi individuali per la modifica delle condizioni dei contratti.

Con l’avvento del D.lgs. 81/2015 (la riforma del Jobs Act) si è avuta un’integrazione delle norme dell’art. 2103 c.c. implementata successivamente da una giurisprudenza che ha tracciato confini più netti.

In particolare, l’art. 2103 c.c. che il principio di immodificabilità delle mansioni sia derogabile:

  1. Per esigenze organizzative del datore di lavoro, in presenza di equivalenza professionale con riferimento specifico a quanto previsto dai CCNL;
  2. Mediante accordo individuale di modifica in pejus, con l’ausilio dell’assistenza sindacale, avente come obiettivo la conservazione dell’occupazione, l’acquisizione di una nuova professionalità o il miglioramento delle condizioni di vita.

Quali modifiche si possono prevedere in un accordo individuale di lavoro

Ammesso quindi che sia possibile effettuare le modifiche del rapporto di lavoro (alle condizioni e nelle sedi di cui si dirà a breve) di seguito qualche esempio di situazioni che possono originare l’accordo:

  • La modifica dell’orario di lavoro o del regime di flessibilità;
  • Il cambiamento delle mansioni (anche in senso peggiorativo sia economico che professionale), se funzionale al mantenimento del posto di lavoro;
  • Il trasferimento in altra sede aziendale.

Resta da intendersi che l’accordo non deve essere il modo per mascherare una rinuncia generalizzata a diritti indisponibili (es. TFR, retribuzione minima, ferie) o essere imposto sotto la minaccia di situazioni ritorsive o vessatorie.

Dove firmare un accordo individuale valido: il ruolo delle sedi protette

Proprio a garanzia di quanto appena indicato il legislatore ha previsto che la modifica delle condizioni del rapporto di lavoro, affinché sia legittima e corretta, debba avvenire in quelle che vengono definite: sedi protette.

La funzione di queste sedi è garantista e formale e mira ad accertare che il consenso del lavoratore (che per l’impianto normativo viene definito come il “contraente debole”) sia effettivamente libero e informato.

Diverse sono le sedi che l’ordinamento considera protette:

  • Le sedi sindacali (con presenza di rappresentanti delle sigle firmatarie del CCNL applicato);
  • L’Ispettorato Territoriale del Lavoro, presso cui è possibile fissare un incontro con assistenza dell’ispettore;
  • Le commissioni di certificazione, che rilasciano un parere scritto sulla validità dell’accordo.
  • La sede giudiziale qualora sia già stato instaurato un contenzioso.

Affinché vi sia chiarezza di intenti e volontarietà degli stessi la forma scritta è un requisito essenziale.

In mancanza di sottoscrizione dell’accordo in sede protetta, lo stesso è impugnabile dal lavoratore nel termine di 6 mesi dalla firma e conseguentemente annullabile.

Come la riorganizzazione aziendale può giustificare la modifica del contratto

Una delle situazioni che maggiormente investono le aziende è quella della riorganizzazione finalizzata ad accorpare attività, sopprimere mansioni, aumentare la profittabilità, ridurre i costi ecc. In tali situazioni, può rendersi necessario ridefinire ruoli, attività, compensi dei collaboratori. Ecco che questo diventa quindi il terreno fertile per gli accordi individuali.

Infatti, l’alternativa spesso è tra l’accordo di modifica e il recesso per giustificato motivo oggettivo.

Ciò che merita qui di essere rilevato è che la giurisprudenza ha chiarito che:

  • L'accordo non è nullo per il solo fatto che vi sia un rischio di licenziamento;
  • Il consenso del lavoratore deve essere realmente libero e non “ottenuto con la pistola alla tempia”;
  • È onere del datore di lavoro dimostrare l’effettività delle motivazioni riorganizzative.

È quindi consigliabile ipotizzare tutti i passaggi ricordando sempre che il repêchage, per evitare il licenziamento, è un obbligo giuridico per il datore di lavoro e non una facoltà.

Differenze tra accordi modificativi e rinunce ai diritti del lavoratore

In questa sede è opportuno sgombrare il campo da uno dei dubbi più frequenti: gli accordi sono tutti uguali?

Invero, vi sono due macroaree quello degli accordi modificativi e accordi di rinuncia.

  • L’accordo modificativo ha ad oggetto la modifica, appunto, di clausole di contratto in essere e sono valevoli per il futuro come premi, superminimi, livelli, retribuzioni, benefit ecc, può riguardare anche aspetti peggiorativi, purché giustificati e assistiti;
  • La rinuncia o transazione (art. 2113 c.c.) riguarda invece diritti già maturati o situazioni pregresse.

Mentre le rinunce sono invalide se non effettuate in sede protetta, gli accordi modificativi ex art. 2113 c.c. sono validi solo se stipulati nelle forme e per le finalità previste dalla legge.

Come tutelarsi dal rischio che il consenso del lavoratore sia considerato viziato

In caso di modifica del contratto individuale il datore di lavoro ha un onere probatorio rafforzato per il quale deve fornire, in caso di contestazione, la prova che il consenso del dipendente alla modifica sia veritiero e consapevole.

Per questo motivo, è utile:

  • Formalizzare la proposta con anticipo e con chiarezza;
  • Lasciare un tempo di riflessione congruo al lavoratore;
  • Consentire al lavoratore di farsi assistere da un rappresentante sindacale o da un legale;
  • Predisporre un verbale di incontro in cui si documenta il processo negoziale.

Perché una buona gestione della rinegoziazione migliora il clima interno

Quanto appena espresso può essere utile, anche a fini reputazionali, per gestire una rinegoziazione che abbia comunque un impatto positivo sul clima aziendale.

Infatti, un approccio trasparente, rispettoso delle valutazioni del dipendente può rafforzare il senso di appartenenza e contribuire a far comprendere le ragioni intrinseche delle ragioni dell’azienda e dei suoi intenti riorganizzativi. Al contrario, accordi imposti o non chiari possono generare sfiducia, demotivazione e rischio di contenziosi.

Per questo è importante che ogni riorganizzazione sia accompagnata da una comunicazione interna strutturata, con un confronto con l’HR e feedback.

Le condizioni per una rinegoziazione efficace e legittima del contratto

Rinegoziare il contratto individuale di lavoro è possibile e legittimo ma con una speciale attenzione ai confini tracciati dalla legge e ai diritti dei collaboratori.

L’autonomia privata nel rapporto di lavoro è infatti vincolata alla tutela della parte debole, il lavoratore.

Nelle fasi di riorganizzazione aziendale, l’accordo individuale assistito rappresenta una valida alternativa al licenziamento, ma solo se è:

  • trasparente nei motivi,
  • assistito nella forma,
  • realmente condiviso nei contenuti.

La sfida è quella di utilizzare questo strumento non come imposizione unilaterale, ma come opportunità per gestire i cambiamenti in modo equo e condiviso, con una visione proiettata a comprendere che il benessere nelle imprese è anche questo.

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